I NOSTRI ATTEGGIAMENTI SONO UGUALI AI NOSTRI COMPORTAMENTI?
Una delle ipotesi fondamentali sul legame tra atteggiamenti e comportamenti è quella della coerenza, secondo cui ci si aspetta che il comportamento di una persona sia coerente con gli atteggiamenti che esprime. Questo concetto è noto come Principio di Coerenza.
Il principio di coerenza si basa sull’idea che le persone siano razionali e che tendano a comportarsi in modo coerente con i propri atteggiamenti. Tuttavia, pur essendo logicamente valido, questo principio non trova sempre riscontro nella realtà: le persone spesso si comportano in modi apparentemente illogici. Un esempio emblematico è il caso di chi fuma sigarette, nonostante sia consapevole che il fumo provochi il cancro ai polmoni e aumenti il rischio di malattie cardiache.
A tal proposito, il sociologo La Pierre, con un celebre esperimento condotto nel 1934, dimostrò empiricamente che le componenti cognitive ed emotive dei comportamenti umani non sempre corrispondono agli atteggiamenti dichiarati, evidenziando così la prevalenza dell’incoerenza.
In generale, gli psicologi sociali considerano l’atteggiamento come una predisposizione comportamentale che guida l’azione. Tuttavia, il legame tra atteggiamenti e comportamenti si rivela spesso più complesso e problematico di quanto si possa immaginare. Il primo studio empirico a dimostrare tale problematicità fu condotto dal sociologo La Pierre nel 1934. Nella sua ricerca, La Pierre analizzò se l’atteggiamento negativo, all’epoca diffuso tra gli americani nei confronti dei cinesi, si traducesse in comportamenti di esclusione. Per testare questa ipotesi, visitò 251 alberghi e ristoranti accompagnato da una coppia cinese. Sorprendentemente, solo in un caso furono rifiutati come clienti. Tuttavia, in una fase successiva dello studio, il 92% degli stessi albergatori e ristoratori dichiarò che non avrebbe accettato membri della razza cinese come clienti. Questo esperimento evidenziò chiaramente la scarsa prevedibilità degli atteggiamenti rispetto ai comportamenti effettivi, aprendo nuove prospettive sullo studio delle relazioni tra ciò che pensiamo e ciò che facciamo.
Un atteggiamento è definito come “una organizzazione relativamente duratura di credenze, sentimenti e tendenze comportamentali verso oggetti, gruppi, eventi o simboli socialmente significativi” (Hogg & Vaughan). Inoltre, è descritto come “una condizione psicologica che si esprime valutando una particolare entità con un certo grado di favore o sfavore” (Eagly & Chaiken).
Secondo le teorie cognitiviste, la struttura degli atteggiamenti può essere analizzata attraverso i suoi tre componenti principali, noti come il modello A/B/C: Affective, Behavioural, Cognitive (Affettivo, Comportamentale, Cognitivo).
- Componente Affettiva
Rappresenta la reazione emotiva verso un oggetto. Questa componente coinvolge i sentimenti e le emozioni che una persona prova nei confronti dell’oggetto a cui è rivolto l’atteggiamento.
Esempio: La paura dei ragni. - Componente Comportamentale
Comprende le azioni di avvicinamento o di allontanamento dall’oggetto in base all’atteggiamento. Questa componente riflette come l’atteggiamento influenza il nostro comportamento.
Esempio: Eviterò i ragni e urlerò se ne vedo uno. - Componente Cognitiva
Include le informazioni e le credenze relative all’oggetto dell’atteggiamento.
Esempio: Credo che i ragni siano pericolosi.
Gli atteggiamenti si formano attraverso l’apprendimento e derivano dall’esperienza individuale. Tali esperienze possono essere:
- Dirette, vissute personalmente.
- Mediate, basate sull’osservazione del comportamento altrui.
- Comunicate, trasmesse tramite informazioni ricevute da altre persone o dai media.
Tra queste, gli atteggiamenti derivati da esperienze dirette sono generalmente i più resistenti, poiché radicati in esperienze personali profonde e tangibili.
La Forza dell’Atteggiamento
Come abbiamo visto, l’atteggiamento rappresenta la predisposizione di un individuo a rispondere all’ambiente circostante. Quando si deve reagire rapidamente a uno stimolo ambientale, l’atteggiamento può influenzare in modo più o meno significativo la risposta. Un esempio tipico è quello di un individuo che nutre pregiudizi verso un determinato gruppo etnico, considerandolo aggressivo: tale atteggiamento può generare sentimenti di antipatia o repulsione e portare a comportamenti discriminatori.
La forza dell’atteggiamento è spesso un buon indicatore della probabilità che un atteggiamento influenzi effettivamente il comportamento di una persona. Più forte è l’atteggiamento, maggiore sarà la probabilità che esso si traduca in azioni concrete.
La forza di un atteggiamento dipende da diversi fattori, tra cui:
- Importanza personale
si riferisce alla rilevanza che l’atteggiamento ha per l’individuo rispetto ai suoi interessi personali, alla sua identificazione sociale e alla sua scala di valori.
Esempio: Un atteggiamento sarà molto importante per una persona se riguarda un gruppo a cui appartiene o cui aspira ad appartenere. - Rilevanza per la vita personale
al contrario, un atteggiamento sarà meno significativo per una persona se non ha alcuna connessione diretta, o solo una minima, con la sua esperienza personale o sociale.
Questi elementi rendono evidente come atteggiamenti forti, radicati in interessi o valori personali, siano quelli più influenti nel determinare i comportamenti, rispetto a quelli considerati meno rilevanti.
La psicologia sociale ha dimostrato da tempo quanto la partecipazione a un gruppo sia fondamentale per sviluppare sentimenti di appartenenza e, al contempo, per generare atteggiamenti discriminatori verso altri gruppi. Gli studi condotti da Tajfel (1981) hanno evidenziato, attraverso diversi esperimenti, come il favoritismo verso il proprio gruppo possa emergere anche in assenza di situazioni conflittuali.
Tajfel ha mostrato che la tendenza a categorizzare gli individui in base alla loro appartenenza di gruppo è un processo quasi naturale.
Esempio: Quando affermiamo che “gli svedesi sono alti” e “gli italiani sono bassi,” stiamo ricorrendo a una categorizzazione basata su stereotipi di gruppo.Secondo Tajfel, l’appartenenza a un gruppo è un elemento cruciale per determinare la nostra identità sociale. Di conseguenza, nelle relazioni sociali, tendiamo a pensare e ad agire come membri del nostro gruppo, favorendolo rispetto agli altri. Questo comportamento rafforza ulteriormente la nostra identità sociale, contribuendo a consolidare il senso di appartenenza e distinzione.
Le persone tendono a essere maggiormente informate su argomenti di loro particolare interesse e, di conseguenza, a mantenere atteggiamenti forti, siano essi positivi o negativi. Per questo motivo, la conoscenza dei fattori di forza che influenzano la formazione degli atteggiamenti assume un ruolo cruciale nella determinazione dei comportamenti. Gli atteggiamenti basati su esperienze dirette sono più radicati e influenzano il comportamento in misura maggiore rispetto a quelli formati indirettamente, ad esempio tramite l’ascolto, la lettura o la visione dei media.
Il comportamento, quindi, rappresenta la modalità di azione e reazione di un individuo ed è l’esteriorizzazione di un atteggiamento derivato da una convinzione o da un’idea. In altre parole, l’atteggiamento riflette ciò che pensiamo, mentre il comportamento è ciò che facciamo.
L’esperimento di La Pierre illustra chiaramente l’incoerenza che spesso emerge tra ciò che facciamo (il nostro comportamento) e ciò che pensiamo (il nostro atteggiamento).
Ad esempio, molti di noi potrebbero essersi comportati istintivamente in modo benevolo nei confronti di un immigrato, elargendo un aiuto o della carità. Tuttavia, in una conversazione tra amici, potremmo trovarci a esprimere giudizi negativi o denigratori verso gli immigrati, un comportamento che riflette un’incoerenza tra pensiero e azione.
Pertanto, è importante riconoscere che spesso ci troviamo ad agire in contrasto con il principio di coerenza.
post rieditato 20/11/2024
Reference
– P.Amerio, “Fondamenti di psicologia sociale”, 2007, il Mulino
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