Abbiamo emozioni paleolitiche, istituzioni medievali e tecnologie futuristiche

“Abbiamo emozioni paleolitiche, istituzioni medievali e tecnologie futuristiche”

Edward Wilson, biologo noto per aver sviluppato la Sociobiologia, pronunciò questa celebre frase nel 2009 durante un’intervista in cui rifletteva sulle sfide dell’umanità di fronte all’evoluzione tecnologica. Wilson evidenziava come il rapido sviluppo tecnologico avesse generato strumenti straordinari, mentre le nostre emozioni e istituzioni sociali rimanevano ancorate a strutture arcaiche. Con questa affermazione, sottolineava i rischi di questa dissonanza, spingendo a riflettere su come l’umanità possa gestire tecnologie avanzate che spesso superano le nostre capacità di comprensione e controllo.

Umanesimo & Tecnologia

Quindici anni prima, presso l’Università Orientale di Napoli, un piccolo gruppo di visionari ricercatori si era formato volontariamente per “fantasticare sull’incipiente futuro digitale”. Questi visionari guidati da Romolo Runcini – professore di Sociologia della Letteratura: celebre a livello internazionale per i suoi studi sul fantastico, ma anche nel suo entourage di studenti per annotare le sue lezioni ancora con una semplice matita – vedevano una dicotomia tra il pensiero tradizionale del docente e il loro pensiero di giovani interessati alla incipiente Cultura digitale. Fu questa intuizione che ci portò a comprendere che la trasformazione digitale avrebbe presto cambiato radicalmente la società italiana, connessa sempre più al contesto globale. Il programma di ricerca Umanesimo & Tecnologia (U&T) ci aveva già spinto a riflettere su molte delle problematiche che Wilson avrebbe successivamente formulato.

L’incontro con lo scienziato di riferimento

Nonostante non fossimo riusciti a ottenere alcun finanziamento pubblico per la ricerca – il fatto che degli umanisti volessero occuparsi di formazione nelle ICT, ritenuto esclusivo dominio degli informatici, era considerato eccessivo non solo dalla politica finanche negli ambienti accademici che stavamo frequentando – un evento significativo fu finalmente l’incontro con Derrick de Kerckhove, direttore del McLuhan Project di Toronto, durante il consesso Mediartech a Firenze. In quell’occasione, stavamo presentando i nostri risultati, sintetizzati nella formula:

d/dT (tecnologia) > d/dT (società e imprese) > d/dT (educazione e formazione)

Forse colpito dalla nostra visione e sicuramente dalla nostra intraprendenza, de Kerckhove accettò il nostro invito ad insegnare a Napoli, permettendoci di collaborare direttamente con lui. Questo incontro rafforzò il nostro lavoro, che portavamo avanti in collaborazione con l’Accademia e l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, con il supporto morale del Comune e della Provincia di Napoli. Questo contributo fu essenziale per i nostri sforzi volti a sviluppare la Società dell’Informazione nella nostra città. Gli insegnamenti di de Kerckhove nelle università napoletane contribuirono a rafforzare il dialogo tra cultura umanistica e tecnologia emergente in un momento cruciale della trasformazione digitale.

Un progetto precorritore

Con la nostra visione di unire Umanesimo e Tecnologia per un management umanistico della trasformazione digitale, lanciammo il progetto L.I.N.K.E.D. (Learning and Information Network for Knowledge Enhancement and Development) con l’obiettivo di anticipare le sfide del digital divide culturale. Riconoscemmo che la velocità del cambiamento tecnologico avrebbe rapidamente superato la capacità di adattamento della società, delle imprese e dei sistemi educativi. Era evidente che la mancanza di una cultura digitale diffusa avrebbe potuto costituire un ostacolo critico per il futuro, non solo nel campo della formazione ma anche nell’economia e nel lavoro, nella sfera del privato, nella società in generale.

Una sintesi di pensiero per un’azione innovativa per quei tempi

Il programma U&T nacque dalla consapevolezza che il passaggio da una cultura improntata sul pensiero analogico ad uno digitale non rappresentava solo un’opportunità, ma anche un rischio di disorientamento. Grazie al contributo finanziario di una società privata e al supporto di Microsoft, attraverso il laboratorio Hipgnosys\La Fabbrica dell’Immaginario, creammo un ambiente di ricerca applicata che esplorava le implicazioni sociali, politiche e culturali del progresso tecnologico, nella nostra industria di riferimento: quella creativa dei contenuti.

Immagini di repertorio

Questo approccio non era solo una risposta per comprendere come gestire il cambiamento nelle sfide digitali, ma anche una piattaforma per lo sviluppo di nuove forme di comunicazione e organizzazione produttiva. Il nostro obiettivo principale era dimostrare, con dati empirici, l’importanza di creare nella nostra Città un centro di competenza per l’alta formazione nell’industria dei contenuti creativi digitali. Tale centro avrebbe avuto il compito di formare professionisti capaci di affrontare le sfide future, ma anche di promuovere l’inclusione digitale. In questo contesto, la nostra visione del futuro non si riduceva a una semplice prognosi probabilistica, in cui il cambiamento sarebbe stato anticipato e gestito entro limiti di incertezza calcolabili. Piuttosto, proponevamo una prospettiva più ampia, simile alla prognosi ermeneutica, che vede il futuro come uno spazio aperto di possibilità, un non-ancora che può essere immaginato, ma non pienamente conosciuto. È in questa apertura che risiede il potenziale della nostra proposta di centro di competenza, come luogo dove l’innovazione non solo risponde alle sfide attuali, ma crea nuove traiettorie in una trasformazione digitale continua per affrontare un futuro immaginato che si svela progressivamente.

Un modello sostenibile per una start-up digitale

Tre anni di ricerca applicata ci permisero di dimostrare con i fatti che l’approccio di L.I.N.K.E.D. – come visto, nato dal programma Umanesimo & Tecnologia, incentrato sul contrasto al digital divide culturale – funzionava. Creativi umanisti caratterizzati da un pensiero analogico cooperavano con tecnologi più giovani, riuscendo ad elaborare sia progetti che produrre contenuti digitali innovativi, in un contesto in cui le potenzialità della cultura digitale erano ancora scarsamente esplorate. Grazie a questa collaborazione sul campo, riuscimmo a stabilire un modello pro-gnosis – che avrebbe funzionato basandosi su tre concetti: apprendistato cognitivo, formazione continua e mediazione culturale digitale – tale da poter essere applicato non solo nell’industria dei contenuti, ma anche in applicazioni per ambiti più ampi di scopo pro-sociale, che si riveleranno in futuro conle attività di Rebel Alliance Empowering e Difesa Civile 4.0.

Il ruolo del Mediatore della Cultura Digitale

L.I.N.K.E.D. anticipò molte delle sfide legate al digital divide culturale, riconoscendo la necessità di una formazione continua e di una mediazione culturale per integrare la popolazione nella Società dell’Informazione. Questa visione si allineava alle problematiche identificate dalla Commissione Europea nel Memorandum sull’Istruzione Permanente del 2000. Il nostro gruppo sviluppò l’idea della figura del Mediatore della Cultura Digitale, ritenendo questa nuova professionalità indispensabile per il suo”scopo sociale”, cruciale in un paese in cui oltre il 50% della popolazione over 45 era esclusa dalle competenze digitali. Il progetto PDCo45 fu creato con lo scopo di facilitare l’accesso alle nuove tecnologie per questa fascia di età ed oltre (gli immigrati digitali), promuovendo l’inclusione e la partecipazione attiva alla Società dell’Informazione. La lungimiranza di accademici come Ornella de Sanctis, preside della facoltà di Scienze della Formazione e di Maria D’Ambrosio docente in pedagogia della comunicazione digitale fecero diventare realtà questa figura professionale attivando il primo master italiano in Mediatore della Cultura Digitale riservato a laureati in Scienze della Formazione.

Un modello di riflessione per il futuro

Avevamo intuito che il digital divide culturale avrebbe ostacolato la partecipazione alla Società dell’Informazione se non si fossero promosse politiche per garantire pari accesso per Tutti. Tuttavia, il Paese soffre ancora di un ritardo nel contrastare il digital divide culturale, in particolare nei numerosi immigrati digitali, contribuendo alla proliferazione di nuove forme di analfabetismo funzionale. La politica, per anni, ha mostrato una scarsa comprensione del problema, e oggi ne vediamo le conseguenze.

Le sfide tecnologiche future non saranno guidate soltanto dalla robotica o dall’intelligenza artificiale, ma soprattutto dall’imminente avvento della seconda rivoluzione quantistica, che ha il potenziale di trasformare profondamente il panorama scientifico, industriale e culturale. Questa rivoluzione potrebbe amplificare le difficoltà per le future generazioni, se non si adottano tempestivamente politiche adeguate.

Raccontare la storia di L.I.N.K.E.D. e di Umanesimo & Tecnologia non è per me solo un pensiero rivolto al passato, ma una riflessione su come poter continuare ad affrontare la trasformazione digitale. Il nostro lavoro pionieristico, oggi come ieri, mira a stimolare una riflessione sulla lungimiranza necessaria per superare il digital divide culturale e preparare le nuove generazioni alle sfide tecnologiche future, comprese quelle poste dalla comprensione di concetti controintuitivi come si rivelano nella fisica quantistica.

Dopo 30 anni la nostra storia continua con una nuova sfida, tesa a poter dare il nostro umile contributo alla divulgazione della Scienza quantistica per l’Uomo della strada, auspicando che con politiche ed interventi mirati, questa volta sarà possibile garantire per tempo un accesso equo alle nuove e future opportunità sostenibili che si prospettano con un nuovo salto tecnologico.

Il Prof. Paolo Silvestrini introduce il tema di dibattito della tavola rotonda “Quantum Nexus, Verso un Futuro sostenibile” promosso dal Centro Studi Difesa Civile 4.0 in collaborazione con APS Eudora

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