Quando un drone decolla silenzioso dal tetto del dipartimento di polizia di Dunwoody e le sue immagini finiscono su una parete di monitor, il presente della sicurezza urbana si mostra senza filtri: telecamere interconnesse, algoritmi che trascrivono le chiamate al 911, mappe che localizzano in tempo reale le pattuglie.
È il mondo di Flock Safety, la startup americana che immagina città senza crimine grazie a una rete capillare di occhi elettronici.
Ma questo, più che un punto d’arrivo, è un’anteprima. Il vero orizzonte è la Città Digitale: un ecosistema in cui la stessa potenza tecnologica non serve soltanto a inseguire un ladro, ma a prevenire alluvioni, coordinare i soccorsi, ricostruire in 3D scenari di emergenza, gestire infrastrutture e flussi urbani.
Non più una sala chiusa con muri di schermi, bensì una centrale operativa virtuale, distribuita e condivisa, capace di trasformare i dati in uno strumento di resilienza civile e di governo della complessità.
Ieri all’IDIA ho ascoltato interventi di alto livello, ma una consapevolezza è chiara: la conoscenza senza azione serve a poco, soprattutto quando parliamo di Bene Comune.
⟶ Continua a leggere l’analisi completa sulla transizione dalla sorveglianza urbana alla Città Digitale.
Dal presente della sorveglianza al futuro della Città Digitale
A Dunwoody, periferia di Atlanta, il tenente Tim Fecht preme un pulsante. Dal tetto del dipartimento di polizia si solleva un drone DJI diretto verso un centro commerciale, dopo una chiamata al 911 per un furto. Sul grande schermo, l’operatore ingrandisce un uomo che consulta il telefono, poi un gruppo di pendolari in attesa di un treno.
È la scena che fotografa il funzionamento della polizia connessa dove ogni monitor proietta flussi diversi: i feed delle telecamere cittadine, i rilevatori di suono per eventuali spari o esplosioni , le mappe con le pattuglie, le trascrizioni automatiche delle chiamate d’emergenza. Con pochi clic, tutto diventa accessibile.
Dietro questa infrastruttura c’è Flock Safety, fondata ad Atlanta nel 2017 da Garrett Langley. In meno di dieci anni, la società è arrivata a una valutazione di 7,5 miliardi di dollari e a vendite stimate in 300 milioni nel 2024, costruendo una rete di oltre 80.000 telecamere negli Stati Uniti.
La storia nasce da un prototipo rudimentale: una fotocamera Android chiusa in una scatola impermeabile, capace di fotografare le targhe delle auto e caricarle su un’app. L’idea arrivò a Langley dopo una rapina irrisolta nel suo quartiere.
Dal 2018, grazie ai primi investimenti di venture capital, il prototipo divenne un dispositivo industriale: una telecamera solare, resistente alle intemperie, in grado di catturare immagini nitide e inviarle nel cloud di Amazon. Nel 2020 la rete era già nazionale e molti dipartimenti di polizia avevano adottato il sistema, entusiasti della possibilità di cercare veicoli sospetti in database distribuiti.
La promessa di una città senza crimine
Langley è convinto che entro un decennio Flock possa contribuire a eliminare quasi tutto il crimine negli Stati Uniti, a patto di affiancare alle tecnologie politiche sociali per i giovani e strumenti per ridurre la recidiva.
Gli esempi raccolti dai dipartimenti sono numerosi: una gang di rapinatori di bancomat fermata grazie al tracciamento di un’auto; un uomo armato riconosciuto dal tatuaggio sul collo e arrestato prima di sparare in un quartiere affollato; una donna con pistola bloccata prima che minacciasse un vicino.
A Dunwoody lo spiegano così: “Non risolviamo ogni caso, ma la differenza è enorme. Durante eventi di massa come la parata del 4 luglio, il sistema ci permette di controllare chi potrebbe creare problemi e garantire sicurezza”..
Dietro l’efficacia operativa c’è un modello economico semplice, ma scalabile come pochi altri. Ogni telecamera costa tra i 3.000 e i 3.500 dollari, cui si aggiunge un abbonamento annuale a FlockOS, il sistema operativo che raccoglie e rende fruibili i dati. A Dunwoody, ad esempio, la gestione di 105 telecamere, più rilevatori di spari, un drone e software, costa circa 500.000 dollari l’anno.
La clientela è molto variegata: non solo forze dell’ordine, ma anche FedEx, Lowe’s, il gruppo immobiliare Simon Property, scuole, associazioni di quartiere e comunità religiose. In diversi casi i privati hanno scelto di condividere volontariamente i loro feed con la polizia, creando una rete ibrida pubblico-privata che amplia di fatto la capacità di sorveglianza.
Come in ogni settore emergente, la concorrenza non manca. I grandi player storici si muovono, le partnership si rompono, i prezzi si aggiustano. Ma al di là delle dispute industriali, la tendenza è chiara: dai semplici lettori di targhe si va verso piattaforme integrate, capaci di orchestrare droni, telecamere, audio-sensori e banche dati eterogenee.
Il nuovo cuore del sistema
Il salto più ambizioso in questa direzione è Nova, piattaforma nata dall’acquisizione della startup Lucidus. L’obiettivo: unire in un unico ambiente i registri delle forze dell’ordine e i dati pubblici -proprietà, occupazione, numeri di previdenza sociale, storici creditizi – con la potenza dell’intelligenza artificiale, capace di correlare informazioni eterogenee e renderle ricercabili in tempo reale.
Definizione
Sistemi di IA non generativa che combinano machine learning, modelli predittivi e simulazioni per supportare decisioni complesse. Non producono testi o immagini: analizzano dati e scenari per individuare pattern, stimare probabilità e valutare rischi.
Come funziona
- Raccolta dati
storici, sensori, banche dati istituzionali. - Modellazione
modelli statistici e ML (reti neurali, bayesiani, sistemi multi-agente). - Simulazioni «what-if»
domande tipo «Cosa succede se…?» su politiche o eventi. - Output
scenari alternativi, mappe di rischio, raccomandazioni. L’IA non decide: illumina le scelte.
Esempi concreti
- Sanità
stima del rischio di complicazioni post-operatorie e suggerimenti di protocollo. - Finanza
scenari di rischio–rendimento per portafogli. - Urbanistica e Smart City
simulazioni di traffico o evacuazioni d’emergenza. - Difesa e Protezione civile
previsioni per alluvioni, incendi, crisi, coerente con la Città Digitale. - Industria
manutenzione predittiva su impianti e macchinari.
Differenza chiave con l’IA generativa
- produce nuovi contenuti (testo, immagini, codice).
- utile per bozze, creatività e automazioni di contenuto.
- non crea contenuti; simula, predice, ottimizza.
- supporta scelte con scenari, probabilità e rischi.
È un ritorno all’anima «classica» dell’IA (sistemi esperti e modelli predittivi) potenziata da machine learning e big data: meno «parole nuove», più decisioni migliori.
I risultati operativi non hanno tardato a mostrarsi. In un’indagine per omicidio, la polizia ha analizzato le riprese di un drone e, grazie a Nova, ha ristretto a sei ore la finestra temporale in cui era stato abbandonato un cadavere, individuando i veicoli transitati in quell’arco di tempo. Un dirigente di Amazon Web Services ha definito la tecnologia “una delle più straordinarie mai viste in ambito investigativo”.
Come ogni innovazione, anche Nova ha aperto interrogativi sul rapporto tra efficienza e tutela della privacy. Ma resta il segnale più evidente di una direzione di marcia: non più soltanto occhi elettronici sparsi sul territorio, bensì sistemi integrati di conoscenza urbana.
Per capire come i modelli decisionali si integrano con il gemello digitale e cosa cambia nella sala operativa virtuale, vedi Il futuro della sicurezza urbana.
Le città-sensore del mondo
Il modello Flock non è isolato.
A Johannesburg, in Sudafrica, le strade sono sorvegliate da migliaia di occhi elettronici di Vumacam, una rete che intreccia pubblico e privato: tanto capillare da spingere il Comune a imporre regole più severe, e l’azienda a rispondere con ricorsi legali.
Più a nord, nel cuore delle Americhe, Città del Messico ha trasformato il suo centro di comando, il celebre C5, in una regia da metropoli del futuro, aggiungendo oltre 30.000 telecamere e sperimentando persino il riconoscimento facciale in tempo reale. È ormai la città più sorvegliata del continente.
In India, lo sguardo si fa ancora più ambizioso: un progetto nazionale, l’Automatic Facial Recognition System, punta a unificare i dati di tutto il Paese. Stati come il Telangana lo hanno già adottato, utile per ritrovare persone scomparse, ma accompagnato dagli avvertimenti degli attivisti sui rischi di abuso.
E poi c’è la Cina, con centinaia di milioni di telecamere e il sistema Skynet, il paradigma massimo del controllo diffuso. Perfino lì, però, qualcosa si muove: nel 2025 la CAC ha imposto che per gli usi civili sia necessario il consenso esplicito, un passo piccolo ma simbolico verso la regolazione.
Infine l’Europa, che sceglie la via opposta: l’AI Act vieta il riconoscimento biometrico in tempo reale negli spazi pubblici, salvo rarissime eccezioni. In Francia i droni di polizia sono ammessi ma con paletti rigidi; nel Regno Unito, fuori dall’UE, la Met Police continua invece a sperimentare il riconoscimento facciale durante grandi eventi, tra proteste e verifiche giuridiche.
Così, da Johannesburg a Londra, ogni città-sensore racconta la stessa tensione: l’illusione di sicurezza totale, il timore di perdere libertà, e la ricerca — ancora incompiuta — di un equilibrio.
Ombre e dibattito pubblico
Negli Stati Uniti la diffusione rapida di queste tecnologie ha aperto un confronto acceso. In stati come Illinois e Texas le autorità hanno posto dubbi sull’uso dei dati e sull’estensione delle reti; in Missouri, un amministratore locale ha smontato personalmente una telecamera in segno di protesta, finendo sotto inchiesta.
Parallelamente, gruppi di cittadini hanno iniziato a mappare in crowdsourcing i dispositivi presenti nei loro quartieri, chiedendo più trasparenza e coinvolgimento. In alcuni casi si sono registrati episodi di vandalismo o rimozione delle telecamere.
Langley ha riconosciuto la complessità della situazione: “Siamo ancora lontani dall’essere perfetti”, ha ammesso, sottolineando però che i tempi lunghi delle autorizzazioni non dovrebbero penalizzare interventi che possono salvare vite.
Il punto centrale rimane: la tecnologia corre veloce, ma la sua accettazione sociale dipende dal grado di fiducia. Solo un equilibrio tra sicurezza, privacy e trasparenza deciderà se queste soluzioni diventeranno parte stabile del paesaggio urbano.
La visione futura con la Città Digitale
Il modello Flock dimostra quanto le reti di droni, telecamere e algoritmi possano già oggi cambiare il modo di vivere la sicurezza urbana. Ma la vera sfida non è replicare quel paradigma: è andare oltre, costruendo una Città Digitale intesa come bene comune, Non è solo una questione tecnica, ma politica dei dati: una linea che ho definito “datacrazia”
Una città-vivente in cui dati, sensori e simulazioni 3D confluiscono in una centrale operativa virtuale, un gemello digitale accessibile da remoto e condiviso tra tutti gli attori che hanno responsabilità sul territorio: protezione civile, carabinieri, polizia, vigili del fuoco, municipalità, aziende di servizi e comunità di cittadini.
La Città Digitale non è solo integrazione di dati: è un ecosistema di agenti cognitivi che interagiscono con il gemello digitale e con gli operatori umani, coordinando flussi, allarmi e simulazioni. Questa riflessione l’ho sviluppata qui: Stiamo creando una società di agenti cognitivi in cui interagiscono i nostri gemelli digitali
In questo ambiente i droni non servono soltanto a inseguire un sospetto armato, ma diventano strumenti multifunzionali: possono sorvegliare un fronte di fuoco durante un incendio, mappare in tempo reale un’alluvione, ricostruire in 3D un edificio crollato o monitorare la folla durante un grande evento. Le telecamere, a loro volta, smettono di essere occhi isolati e si trasformano in nodi di un sistema cognitivo urbano, in cui il rischio criminale convive con i rischi naturali e tecnologici. L’infrastruttura nel suo complesso diventa così una rete capace di prevenire incidenti, coordinare emergenze, ridurre i tempi di risposta e migliorare la qualità della vita quotidiana. Questo richiede una comunicazione cognitiva tra reale e digitale: interfacce e messaggi che rendano azionabili modelli e simulazioni per operatori e cittadini. Ne ho scritto qui: Comunicazione cognitiva tra reale e digitale

È in questa prospettiva che si collocano i nostri programmi DRONEX4, dedicato all’impiego coordinato di droni multi-scopo, e V.E.G.A., architettura virtuale per il comando e la resilienza urbana: non strumenti proprietari, ma componenti di un ecosistema che mette la tecnologia al servizio della collettività e custodisce la memoria del territorio in 4D/S. Su questo passaggio, dal digital twin alla sorveglianza 4D/S, ho approfondito qui: Quando la tecnologia protegge la memoria
La Città Digitale vive anche nell’addestramento operativo: esercitazioni immersive in sala operativa virtuale, con scenari virtual & room object che permettono a polizia e protezione civile di provare procedure sul gemello digitale prima dell’evento reale. Ne ho scritto qui: Intelligenza artificiale, virtual & room object nell’addestramento e l’esercizio militare, di polizia e di protezione civile
La differenza cruciale, rispetto a modelli privati come Flock, non è tecnica ma di governance. La società americana cresce su hardware e abbonamenti, con i relativi rischi di lock-in e concentrazione. La Città Digitale, invece, va concepita come infrastruttura modulare, trasparente e auditabile, pensata non soltanto per la sicurezza ma per la resilienza civile.
In altre parole, se Flock rappresenta il presente del controllo urbano, la centrale operativa virtuale incarna la visione di un futuro inclusivo, in cui la tecnologia non appartiene a un’azienda ma alla comunità, e diventa strumento di protezione, prevenzione e cura del territorio.
Leggi altre riflessioni e argomenti correlati alle Nuove dimensioni di sicurezza & difesa: dove droni, gemelli digitali e IA decisionale incontrano governance dei dati, guerra delle narrazioni e cultura del rischio, per decisioni umane migliori.
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