L’armamento sbagliato

L’armamento sbagliato

L’Europa ha deciso di investire centinaia di miliardi per difendersi da una minaccia che probabilmente non arriverà mai: un’invasione di carri armati.

Eppure, la guerra vera è già tra noi e ha un’altra forma. Non si combatte nei campi di battaglia, ma:
– nei cavi elettrici e nelle reti digitali,
– nelle timeline dei social,
– negli scambi energetici.

Gli attacchi di oggi non distruggono città, ma possono bloccare ospedali, spegnere infrastrutture, diffondere panico e sfiducia. Sono attacchi invisibili: non lasciano rovine, ma corrodono la fiducia collettiva.

Nonostante questo, la politica e il discorso pubblico continuano a guardare indietro: preferiscono la narrativa della guerra fisica perché è più semplice, visibile, comunicabile. Un carro armato si vede; un firewall no.

La conseguenza è che le vere priorità, cyberdifesa, resilienza energetica, educazione critica, restano marginali e sottofinanziate. Così, mentre ci blindiamo contro un nemico immaginario, restiamo vulnerabili a quelli reali.

Il rischio non è solo militare, ma culturale: se l’Europa non cambia paradigma, resterà armata fino ai denti contro le guerre del passato e impreparata per quelle del futuro.

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Immaginate un’Europa che spende 800 miliardi di euro per blindarsi da un’invasione di carri armati che non arriverà mai.
La guerra vera è già tra noi: corre nei cavi della rete elettrica, si insinua nelle timeline dei social, spegne server e accende paure. Non ci invaderanno coi cingolati. Ci stanno già attaccando con virus informatici, propaganda e ricatti energetici.
Eppure continuiamo a comprare armature di ferro contro una minaccia sbagliata, lasciando scoperti i fronti su cui siamo davvero vulnerabili.

A meno che lo scontro fisico non diventi nucleare.

La paura evocata e quella reale

L’immagine dei carri armati che travolgono l’Europa è potente, ma serve più a mobilitare opinioni pubbliche che a descrivere la realtà.
Se guardiamo oltre il mito dell’invasione, vediamo che la minaccia è già presente e non indossa divise visibili, ma mimetiche digitali:

  • hacker che bloccano banche, e allo stesso modo possono spegnere centrali elettriche;
  • dispositivi di comunicazione manipolati per esplodere: ricordando come i pager e i walkie-talkie che nel 2024 hanno provocato centinaia di feriti in Libano: un caso di sabotaggio tecnologico senza precedenti;
  • aeroporti internazionali paralizzati da cyberattacchi: è successo ieri ancora una volta a Heathrow, Bruxelles e Berlino, dove un attacco al software MUSE di Collins Aerospace ha messo fuori uso il check-in e i sistemi bagagli, causando cancellazioni e caos a catena;
  • campagne di disinformazione che polarizzano il dibattito pubblico;
  • partiti e movimenti alimentati da capitali stranieri per dividere i parlamenti dall’interno: è la guerra dei Meme

È la guerra ibrida, una guerra senza dichiarazioni ufficiali, fatta di sabotaggi invisibili e colpi che arrivano dove meno ce li aspettiamo: nelle bollette, negli scaffali vuoti, nella fiducia che perdiamo gli uni negli altri.


Oltre i carri armati
la guerra digitale

La minaccia non è futura, è già qui: corre nei cavi della rete e si insinua nei nostri dispositivi.


La narrativa apodittica
gli uccelli del malaugurio

Mentre esperti, come ad esempio Jeffrey Sachs, ricordano che in questi anni l’Europa non ha mai messo in campo una vera iniziativa di pace, il discorso pubblico ha invece normalizzato l’idea dell’inevitabilità dello scontro, uno scontro presentato come convenzionale, quando in realtà l’unico rischio “fisico” davvero credibile resta quello nucleare.

Così suonano infatti le parole di Andrea Margelletti, presidente del Ce.S.I., che in una recente intervista ha dichiarato:
«(…) La guerra in Ucraina si sposterà in Europa, lo scontro con Putin sarà inevitabile. […] Io non ho alcun motivo, purtroppo, per immaginare un’evoluzione della guerra in Ucraina che non porti a un conflitto in Europa.»
Questa non è analisi: è profezia, e per di più menagrama.
E il problema è che viene ripresa dai governi come giustificazione politica per un maxi-riarmo che sembra non rispondere a minacce verosimili.

Margelletti insiste sull’inevitabilità dello scontro, presentandolo come un dato di realtà e non come una possibilità tra altre. È questo il cuore della narrativa apodittica: eliminare le alternative, ridurre la complessità, sostituire l’analisi probabilistica con una sentenza definitiva.

Il punto, però, è che questa profezia non resta confinata nello spazio mediatico.
Viene ripresa quasi alla lettera dai governi europei, che la usano come giustificazione politica per il maxi-riarmo.

In questo modo, una valutazione personale, espressa con toni assoluti, diventa narrazione istituzionale: ciò che era ipotesi diventa destino annunciato, che rimbalza a sua volta sui media.

Von der Leyen, in uno dei suoi discorsi, ha dichiarato: “Europe is ready to step up (…) we are ready to take control of the change that is inevitable.
If Europe wants to avoid war, it must get ready for war (Copenaghen, 18 marzo 2025 – Von der Leyen)
Russia is preparing for confrontation with Europe : la sintesi di Eunews e Reuters

Ed ecco la contraddizione: si alimenta la paura dello scontro diretto convenzionale, ma nello stesso tempo si scarta l’ipotesi di escalation nucleare,  l’unica che, in termini di deterrenza, avrebbe un fondamento di realismo.
Risultato: una narrativa zoppa, ansiogena e incoerente, che genera rassegnazione più che consapevolezza critica.

Eppure, se guardiamo ai numeri e agli scenari realistici elaborati anche dagli esperti militari, un’invasione convenzionale russa dell’Europa è logisticamente insostenibile.


Formare per difendere

Se la minaccia è ibrida, anche la difesa deve essere ibrida: servono cittadini consapevoli e professionisti competenti.


Lo spettro russo-cinese

Il conflitto ucraino è stato presentato come un laboratorio di armi e strategie ibride — come ho scritto in L’Ucraina come laboratorio.
Ma è stato anche un laboratorio della criticità del fattore umano in una guerra convenzionale: la prova di quanto pesi la capacità di reggere a un conflitto di logoramento con centinaia di migliaia di uomini in campo.

La Russia ha potuto mobilitare circa 700.000 soldati, a fronte di un Paese, l’Ucraina, molto più piccolo per popolazione e risorse.
Questo dimostra che, in un conflitto convenzionale, la massa numerica degli uomini in campo resta un fattore decisivo, capace di compensare anche carenze tecnologiche o logistiche.
Come sottolinea il rapporto RAND The Implications of the Fighting in Ukraine for Future U.S.- and Allied Land Warfare (2025): “L’importanza della massa rimane centrale: vincere conflitti ad alta intensità richiede ancora grandi quantità di forze e sistemi.”

Ma lo stesso dato, se proiettato sullo scenario europeo, si ribalta: una Russia di 150 milioni di abitanti non ha la forza demografica per immaginare un’invasione stabile di un’Europa che conta oltre 550 milioni di cittadini.
Ciò che in Ucraina le garantisce un vantaggio relativo, su scala continentale si trasforma in un limite strutturale, rendendo lo scontro diretto logisticamente e demograficamente insostenibile. La stessa NATO, nella dottrina AJP-4 – Allied Joint Doctrine for Sustainment of Operations (Ed. C, Version 1, settembre 2025), chiarisce che la sostenibilità delle operazioni è un prerequisito per mantenere la potenza di combattimento: “Sustainment is the provision of personnel, logistics, medical support and other services necessary to maintain operations until mission accomplishment.”

Eppure, per giustificare il maxi-riarmo, viene forse agitato implicitamente lo spettro di una possibilità estrema, non dichiarata ufficialmente, ma spesso evocata in analisi e discorsi politici: non solo una Russia sola contro l’Europa, ma una presunta “coalizione eurasiatica”: Russia e Cina insieme, magari con l’appoggio di Iran, Bielorussia o Corea del Nord.

Sulla carta, sarebbe una massa critica formidabile. Ma la realtà è diversa:

  • Problema logistico
    per proiettare forze cinesi in Europa bisognerebbe attraversare migliaia di chilometri di steppe e colli di bottiglia geografici, facili bersagli NATO.
  • Problema politico
    la Cina non ha alcun interesse a impantanarsi in Europa. Il suo obiettivo strategico è il Pacifico, non Varsavia o Berlino.
  • Il vero ruolo di Pechino
    non carri armati alle frontiere dell’est, ma supporto indiretto: droni, semiconduttori, copertura diplomatica, pressione sugli USA in Asia.

Più che un’“invasione congiunta”, lo scenario realistico è una pressione combinata: Mosca destabilizza in Europa, Pechino incalza in Asia, costringendo gli Stati Uniti a dividersi su due teatri.


Il fattore umano e la logistica nella guerra convenzionale

  • NATO AJP-4 (2025)
    Definisce il sustainment come abilitatore di “libertà d’azione e resistenza nel tempo”. Senza catene logistiche robuste, anche la superiorità numerica si dissolve.
  • RAND (2025)
    La guerra in Ucraina ha mostrato che la competenza tattica, la volontà di combattere e la massa numerica restano decisive quanto la tecnologia.
    “L’importanza della massa rimane centrale: vincere conflitti ad alta intensità richiede ancora grandi quantità di forze e sistemi.”
    Inoltre, la sostenibilità di un conflitto dipende dalla capacità industriale e demografica:
    “Gli esiti del campo di battaglia possono dipendere dalle decisioni di produzione prese in patria.”
  • RUSI – Royal United Services Institute (2024)
    Mostra sul caso ucraino ( facilmente ribaltabile nel contesto opposto) come armi moderne e addestramento non bastano, se non accompagnati da forza numerica e logistica veloce. Conferma che il fattore umano e la capacità di sustainment restano decisivi.

Gli 800 miliardi della discordia

In questo quadro, l’Unione Europea ha scelto di destinare circa 800 miliardi di euro al riarmo convenzionale: missili, carri, aerei.
Ma se la minaccia non è un’invasione territoriale, allora stiamo investendo enormi risorse per prepararci a combattere una guerra sbagliata?

Gli investimenti che davvero servirebbero sono altrove:

  • Cyberdifesa, perché oggi un firewall vale più di un cannone.
  • Energia autonoma e sicura, perché chi controlla il gas controlla le democrazie.
  • Difesa cognitiva, perché una fake news virale può fare più danni di un bombardamento.
  • Protezione civile avanzata, capace di reagire a crisi simultanee: naturali, digitali o ibride.
  • Educazione critica, perché cittadini consapevoli sono il miglior scudo contro la manipolazione.

Firewall, non corazze

Investire miliardi in carri e missili ha poco senso se la società resta vulnerabile agli attacchi più semplici: quelli alla fiducia e ai dati.


Le domande che restano

Se i numeri smontano la narrativa dell’invasione convenzionale, perché allora concentrare tutto su carri armati e missili?

Le risposte possibili non parlano di difesa, ma di politica ed economia:

  • Industria militare
    come volano occupazionale e industriale.
  • Integrazione europea
    forzata sotto l’ombrello della difesa comune.
  • Allineamento con gli USA,
    che forniscono gran parte delle tecnologie.
  • Controllo delle opinioni pubbliche,
    più facili da mobilitare con lo spettro di un nemico visibile.

Non ci invaderanno coi carri armati. Possono però insinuarsi nelle nostre reti, nei nostri dibattiti, nei nostri sistemi vitali.
Se non abbiamo il coraggio di spostare gli investimenti dalla guerra che non verrà alla guerra che c’è già, rischiamo di perdere senza neanche combattere.
E forse è proprio qui che si nasconde la vera motivazione: non difendersi dalla Russia, ma difendere un sistema politico-industriale che ha bisogno di una minaccia sbagliata per giustificare se stesso.


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