Europa tra Guerra e Pace. Il dilemma tra ordine westfaliano e modello post-westfaliano

La chiamata alle armi: un ritorno alla vecchia Europa?

Negli ultimi giorni, alcune delle più alte cariche dell’Unione Europea, tra cui la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, hanno lanciato appelli per un rafforzamento militare dell’Europa. Questa retorica bellicista, che dipinge il riarmo come un destino ineluttabile, sembra ignorare il senso stesso dell’integrazione europea: un progetto nato dalle macerie della Seconda guerra mondiale per garantire la pace e superare la logica degli Stati-nazione in perenne conflitto.

Ma davvero l’unica risposta possibile alle tensioni geopolitiche contemporanee è un’Europa che si arma fino ai denti? O siamo di fronte a un pericoloso ritorno a una mentalità westfaliana, che rischia di tradire l’essenza stessa dell’Unione Europea?

L’Hybris e il paradosso del potere

Per questo motivo, da decimo uomo, ho iniziato a consultare la letteratura sul tema. In particolare, mi ha colpito la riflessione di una giovane ricercatrice, autrice di un saggio per l’Istituto de Jean Monnet.

Dobbiamo ascoltare i giovani, perché il futuro appartiene a loro. Invito tutti a leggere il suo lavoro, che offre spunti di grande interesse e attualità. La sua riflessione ci aiuta a lanciare un appello ai nostri governanti, oggi travolti dalla paura e prigionieri di una logica emergenziale che li spinge verso decisioni affrettate. Sembrano affetti da una significativa Hybris, l’arroganza di chi crede di poter controllare la storia attraverso la forza, ignorando gli insegnamenti del passato. Questa volontà di rilanciare la corsa agli armamenti sembra il sintomo di una Hybris collettiva, una tracotanza che ricorda la riflessione sul paradosso del potere e la sindrome del pollo. Quando i leader si chiudono nella loro bolla di certezze governato da un pensiero dicotomico, circondati da consiglieri compiacenti che rafforzano le loro convinzioni, perdono il senso della misura e della realtà. Proprio come nel paradosso del potere, più si sentono forti e intoccabili, più diventano vulnerabili alle loro stesse decisioni. Così, oggi, i governi europei sembrano sottovalutare il rischio di un’escalation militare, convinti di poter controllare un processo che la storia ci insegna essere irreversibile. Ma l’Hybris porta sempre alla némesis, alla punizione per chi ha superato il limite. E la storia è piena di esempi di leader che hanno creduto di poter governare la guerra, solo per scoprirne troppo tardi l’imprevedibilità e la distruzione che ne deriva.

“L'Unione europea post-westfaliana intrappolata nello spazio paneuropeo westfaliano”

di Barbara Matta

Il testo analizza l’evoluzione del concetto di sicurezza in Europa nel contesto della costruzione dell’Unione Europea, evidenziando il contrasto tra l’ordine westfaliano, basato sullo Stato-nazione sovrano e sulla politica di potenza, e il progetto post-westfaliano, fondato sulla cooperazione, l’integrazione e la governance multilivello.

Dopo secoli di guerre e conflitti per l’egemonia sul continente, l’Europa ha cercato di trasformarsi in un modello di pace e stabilità, sostituendo la logica della guerra con quella del dialogo e della collaborazione internazionale. Tuttavia, questa transizione non è mai stata completa: la sicurezza europea è ancora fortemente condizionata dalla persistenza di tre forze westfaliane principali: gli Stati membri, che mantengono il monopolio della forza e il controllo dei confini nazionali; la NATO, che rappresenta una forma di sicurezza tradizionale basata sulla deterrenza militare; e le minacce esterne e interne, tra cui l’espansionismo russo e l’ascesa del populismo nazionalista.

Il testo esplora come questi elementi abbiano reso l’UE ontologicamente insicura, costringendola ad adattarsi a un contesto geopolitico che spesso contraddice i principi su cui è nata. Analizzando la storia della politica estera e di sicurezza europea, dalla CECA al Trattato di Lisbona, fino alla recente Bussola Strategica, l’autore mette in evidenza le difficoltà dell’UE nel definirsi come attore di sicurezza autonomo.

Infine, il testo propone due possibili direzioni per il futuro dell’Unione: da un lato, la creazione di un esercito europeo potrebbe rafforzarne il ruolo geopolitico ma rischierebbe di trasformarla in un attore westfaliano; dall’altro, un rinnovato impegno per la diplomazia e il soft power potrebbe preservare il suo carattere post-westfaliano, riaffermandola come modello di governance internazionale basata sulla cooperazione.

Le tre forze westfaliane che minacciano il modello europeo

Oggi, la sicurezza europea è minacciata da tre fattori che riportano l’UE verso una logica di guerra e di militarizzazione:

  1. Gli Stati membri e il ritorno del nazionalismo
    • La crisi migratoria del 2015 ha spinto molti governi europei a rafforzare i confini nazionali, minando lo spirito di Schengen.
    • Il crescente populismo ha rilanciato la retorica del “prima noi”, allontanando l’UE dalla sua vocazione di comunità di sicurezza e solidarietà.
  2. La NATO e la dipendenza dalla deterrenza militare
    • La NATO, nata con un obiettivo difensivo, è oggi vista da molti leader come il pilastro della sicurezza europea, rafforzando una mentalità di contrapposizione militare anziché di mediazione.
    • L’annessione della Crimea nel 2014 ha rilanciato l’idea che la sicurezza si garantisca solo con le armi, spingendo l’UE ad allinearsi agli Stati Uniti piuttosto che sviluppare una strategia autonoma.
  3. Le minacce geopolitiche e la risposta militare automatica
    • La Russia viene dipinta come una minaccia esistenziale, ma la narrativa dominante ignora il ruolo che la diplomazia potrebbe avere nel contenere le tensioni.
    • La crisi ucraina ha spinto l’UE a sostenere la guerra con ingenti aiuti militari, senza un reale dibattito su strategie alternative basate sul dialogo e sulla risoluzione pacifica dei conflitti.

Un’Europa armata è davvero più sicura?

Il richiamo alla corsa agli armamenti rischia di trasformare l’UE in un attore geopolitico tradizionale, cancellando il suo ruolo di modello globale di pace e diplomazia. Ma questa scelta è davvero nell’interesse dei cittadini europei?

L’Europa non deve cedere alla logica della militarizzazione indiscriminata. La succitata Bussola Strategica Europea determinata nel 2022 (che evidenzia la palese angoscia – davvero motivata? – dei nostri politici europei) ha già posto le basi per un maggiore coordinamento della sicurezza, ma ciò non deve tradursi in una deriva bellicista. La vera sfida dell’UE non è costruire nuovi eserciti, bensì sviluppare strumenti di governance e mediazione efficaci per prevenire i conflitti prima che esplodano.

Torniamo alle origini, non alla guerra

La chiamata alle armi di alcuni leader europei tradisce la storia e l’identità dell’UE. L’Europa ha saputo risorgere dopo secoli di guerre proprio grazie alla sua capacità di superare la logica westfaliana della forza e di costruire un modello basato sulla diplomazia, sulla cooperazione e sulla sicurezza condivisa.

Se oggi si risponde alle tensioni globali con una nuova corsa agli armamenti, allora l’UE si sta snaturando, trasformandosi in ciò che avrebbe dovuto superare. Il vero coraggio politico non sta nel rilanciare la guerra, ma nel trovare soluzioni alternative. La sicurezza non si costruisce con le armi, ma con la lungimiranza, la cooperazione e la volontà di essere qualcosa di diverso da un semplice blocco militare.

Come disse Jean Monnet: “La pace nel mondo non può essere salvaguardata senza sforzi creativi commisurati ai pericoli che la minacciano.” Oggi, quegli sforzi creativi devono essere diplomatici, non militari.


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