Dal vapore all’algoritmo: il prezzo sociale del progresso

C’è un filo invisibile che lega la macchina a vapore dell’Inghilterra del Settecento agli algoritmi predittivi delle nostre piattaforme digitali. Un filo che non è solo tecnico, ma soprattutto sociale. Perché ogni rivoluzione tecnologica, prima ancora di essere una questione di ingranaggi, circuiti o codici, è un evento che ridisegna i rapporti di potere, le gerarchie sociali, le mappe mentali. E spesso, come ci ricorda Jared Diamond, lo fa senza che la società sappia davvero riconoscerne i rischi fino a quando è troppo tardi.


Le quattro trappole del collasso di Jared Diamond

Secondo Jared Diamond (Collasso, 2005), molte civiltà del passato sono crollate non per carenza di tecnologia o intelligenza, ma per errori sistemici nel modo in cui affrontavano le crisi. Ecco le quattro dinamiche ricorrenti:

  1. Non prevedono il problema
    Quando il pericolo non ha precedenti o viene da un contesto lontano nel tempo o nello spazio, le società tendono a ignorarlo. È l’illusione del “non ci riguarda”.
  2. Non lo percepiscono quando accade
    Il cambiamento può essere troppo lento, troppo invisibile o mascherato da segnali ambigui. Così, il sistema si deteriora senza che nessuno se ne accorga.
  3. Lo percepiscono, ma non agiscono
    Anche quando è chiaro che c’è un problema, interessi economici, conflitti di potere o inerzia culturale impediscono l’azione. Qui si consuma il vero fallimento politico
    .
  4. Agiscono, ma troppo tardi o nel modo sbagliato
    Le soluzioni adottate sono inefficaci, parziali, o persino controproducenti. A volte perché non si ha il coraggio di cambiare radicalmente il paradigma.

“Il punto non è la minaccia, ma la nostra capacità di leggerla e rispondervi. Le civiltà che ignorano questo principio, spesso scompaiono.”


La Prima Rivoluzione Industriale trasformò il mondo con la forza meccanica. Le fabbriche divennero le nuove cattedrali della modernità, il tempo fu misurato non più dal ritmo del sole, ma dal suono delle sirene industriali. Il lavoro artigianale fu marginalizzato, la vita rurale disgregata, l’ambiente violentato. All’epoca, si disse che tutto ciò era inevitabile. Era il prezzo del progresso.

Oggi assistiamo a una nuova rivoluzione, che non muove pistoni ma informazioni. L’intelligenza artificiale, l’automazione avanzata, l’internet delle cose, la futura computazione quantistica non agiscono solo sul mondo fisico, ma penetrano negli strati più profondi del comportamento umano. Non si limitano a sostituire l’operaio, ma iniziano a replicare, e in certi casi a guidare, processi cognitivi, emozionali, decisionali.

La differenza sostanziale rispetto alla rivoluzione industriale ottocentesca è proprio questa: se allora la trasformazione avveniva “fuori” dall’individuo, nelle fabbriche, nelle città, nei trasporti, oggi il cambiamento avviene “dentro” l’individuo, nel modo in cui percepisce il mondo, comunica, desidera, apprende, decide.
In passato l’Uomo era sfruttato come forza lavoro; oggi è profilato, condizionato, manipolato come forza cognitiva, come flusso di dati.
È una nuova forma di proletarizzazione, più sottile e più pervasiva.

Eppure, anche questa volta, si ripetono gli stessi meccanismi di esclusione.
Se un tempo gli analfabeti non potevano leggere i contratti o partecipare alla sfera pubblica, oggi chi non possiede le competenze digitali diventa analfabeta funzionale, resta escluso non solo dal lavoro, ma dalla cittadinanza stessa.
La digital literacy, cioè la capacità di leggere e interpretare i linguaggi dell’era algoritmica, è ormai una condizione di sopravvivenza culturale.
Ma non basta connettersi: occorre comprendere. E qui emerge il nuovo digital divide, non più tecnologico, neanche culturale, ma cognitivo: milioni di persone sono dentro la rete, ma fuori dalla comprensione.

Proprio come durante la Prima Rivoluzione Industriale, anche oggi si assiste a una polarizzazione estrema.
Da un lato, élite super-digitalizzate che capitalizzano sulle piattaforme, sul capitale immateriale, sull’intelligenza artificiale.
Dall’altro, una moltitudine precaria, frammentata, che si muove tra lavoretti, notifiche e illusioni di partecipazione.
Il linguaggio del “progresso” torna, ma suona stonato. Perché non basta avere accesso alla tecnologia se non si ha voce nel determinarne l’uso.

Progresso e instabilità
due secoli di mondo VUCA

Sebbene il termine V.U.C.A. -Volatilità, Incertezza, Complessità, Ambiguità – sia nato in contesti militari della fine del Novecento, le sue quattro dimensioni erano già vive e pulsanti al tempo in cui Papa Leone XIII scriveva la sua enciclica Rerum Novarum.
Anche allora, il mondo era volatile per i cambiamenti repentini portati dall’industrializzazione, incerto per le nuove forme di povertà urbana, complesso per l’interconnessione crescente tra economie e società, ambiguo per lo smottamento dei riferimenti valoriali, politici e religiosi.

Allora come oggi, il motore di tutto era uno: il progresso che corre più veloce della cultura, lasciando dietro di sé disorientamento, conflitti, perdita di senso.

“Il VUCA non è figlio del caos, ma del disordine creato da un ordine che non riusciamo più a comprendere.”

È in questo scenario che risuona con forza la voce del nuovo Pontefice. E non è un caso che abbia scelto di chiamarsi Leone XIV

“Proprio sentendomi chiamato a proseguire in questa scia, ho pensato di prendere il nome di Leone XIV. Diverse sono le ragioni, però principalmente perché il Papa Leone XIII, infatti, con la storica Enciclica Rerum Novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale; e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro.”
Papa Leone XIV

Una nuova “Rerum Novarum” per l’era dell’intelligenza artificiale ?

La Rerum Novarum del 1891 fu molto più di un documento ecclesiale. Fu un atto di coraggio culturale: il primo tentativo sistemico della Chiesa di affrontare i problemi generati dal capitalismo industriale, affermando i diritti del lavoro, la centralità della persona, la necessità di uno Stato giusto. Era una mappa per orientarsi nel disordine generato dalla prima ondata tecnologica globale.


L'enciclica Rerum Novarum, promulgata da Papa Leone XIII il 15 maggio 1891, rappresenta una pietra miliare nella storia della dottrina sociale della Chiesa cattolica. In un’epoca segnata dalla Prima Rivoluzione Industriale, l’enciclica affrontava le profonde trasformazioni sociali ed economiche, proponendo una visione equilibrata tra i diritti dei lavoratori e quelli dei datori di lavoro.

Principali contenuti della Rerum Novarum

  • Condanna del socialismo radicale
    L’enciclica respinge l’abolizione della proprietà privata proposta da alcune correnti socialiste, sostenendo che tale diritto è naturale e fondamentale per la dignità umana.
  • Critica al capitalismo sfrenato
    Pur riconoscendo il diritto alla proprietà privata, Leone XIII denuncia le ingiustizie derivanti da un capitalismo senza regole, che porta allo sfruttamento dei lavoratori e all’accumulo eccessivo di ricchezze in poche mani.
  • Diritto al lavoro e giusta retribuzione
    Viene affermato il diritto dei lavoratori a condizioni di lavoro dignitose e a una retribuzione equa, sufficiente a garantire il sostentamento proprio e della famiglia.
  • Libertà di associazione
    L’enciclica sostiene il diritto dei lavoratori a formare associazioni e sindacati per la tutela dei propri interessi, promuovendo la collaborazione tra le classi sociali.
  • Ruolo dello Stato: Si sottolinea la responsabilità dello Stato nel promuovere la giustizia sociale, intervenendo per correggere gli squilibri e proteggere i più deboli.

Se oggi, Papa Leone XIV richiama l’eredità della Rerum Novarum per affrontare le sfide della cosiddetta “nuova rivoluzione industriale”, caratterizzata dall’avanzamento dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie digitali, allora, per questo, la Chiesa si propone di offrire una guida morale per garantire che il progresso tecnologico sia al servizio della dignità umana, della giustizia e del bene comune.

In questo contesto, la scelta del nome “Leone XIV” da parte del nuovo Papa, sembra simboleggiare la continuità dell’impegno della Chiesa nel promuovere una società più equa, in cui le innovazioni non diventino strumenti di esclusione o sfruttamento, ma opportunità per il miglioramento delle condizioni di vita di tutti.


Oggi Leone XIV raccoglie quella eredità e la proietta nel cuore di un altro sconvolgimento epocale: quello generato dalla fusione tra digitale, automazione e intelligenza artificiale. Non si tratta più solo di difendere il salario, ma il significato stesso del lavoro; non solo di lottare per la giustizia sociale, ma per la libertà interiore, la sovranità cognitiva, la dignità nell’età della macchina pensante.

“Le civiltà non crollano per mancanza di tecnologia, ma per mancanza di coscienza collettiva nel governarne gli effetti.”

Ecco perché questo Papa, scegliendo il nome di un Leone, non guarda al passato con nostalgia, ma al presente con audacia. Perché oggi, come allora, serve una voce che parli oltre il rumore degli algoritmi. Una nuova dottrina sociale, aggiornata, profetica, inclusiva,  per un’umanità che sembra accelerare, ma che rischia di perdere sé stessa inseguendo un progresso che non sa più interrogare.


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