Bussola nella nebbia

Framing, OSINT e responsabilità epistemica nell’età dei conflitti

Chiamo responsabilità epistemica l’obbligo di dire non solo ciò che pensiamo di sapere, ma quanto lo sappiamo e su quali appoggi: separare fatti e inferenze, mostrare la via delle prove, accettare il dubbio come misura di onestà.

Questa non è una riflessione che pretende di aiutarvi a svelare la verità sui conflitti.
È, più semplicemente, un invito al metodo.

Quando l’informazione attraversa spazi di opacità – dovuti a segreti legittimi, scelte editoriali, interessi in gioco –  la verità non si possiede: si stima.  
Chi è allenato a leggere tra le righe impara a riconoscere le cornici con cui i fatti vengono raccontati, si usa l’ OSINT, se in grado, come luce radente che riduce la nebbia senza abolirla, e si accetta di dichiarare i limiti di ciò che possiamo sapere.
È la continuazione naturale di una riflessione già avviata in I Media e i Segreti, per la sicurezza nazionale (2022): l’informazione pubblica convive con il segreto; il punto non è negarlo, ma abitare quell’equilibrio con consapevolezza.

Camminiamo in una nebbia che non è solo confusione: in parte è strutturale.
Apparati di sicurezza, canali diplomatici, operazioni in corso: c’è un perimetro di cose che non possono essere divulgate, e questo incide su ciò che ci arriva quali cittadini.
L’opacità non giustifica la propaganda, ma spiega perché l’accesso ai fatti sia sempre mediato.
Qui il framing diventa decisivo: non è necessariamente falsificazione; è selezione del visibile. Titoli, lessico, immagini, infografiche, l’ordine delle notizie: sono dispositivi che orientano lo sguardo.
Esistono cornici causali (chi ha iniziato e perché), cornici morali (vittime e colpe), cornici numeriche – quella che chiamo aritmetica morale – dove percentuali, denominatori, finestre temporali e tagli di serie storiche spostano il significato senza cambiare una cifra.


Aritmetica morale

Per aritmetica morale si intende l’uso selettivo e strategico dei numeri nella rappresentazione di eventi drammatici, guerre, genocidi, catastrofi, al fine di orientare la percezione pubblica. Non riguarda soltanto il “quanto”, ma il “come” viene contato e raccontato: scegliere percentuali invece di numeri assoluti, rapporti invece di cifre, comparazioni invece di contesti singoli.
È una contabilità che non misura soltanto i morti, ma plasma il significato della loro morte.

  • Quando serve, si enfatizzano i numeri assoluti per mostrare l’enormità di una tragedia.
  • Quando conviene, si usano percentuali per sottolineare la sproporzione o ridurre l’impatto dei valori totali.
  • Quando disturba, si omette o si sposta il contesto, lasciando al lettore solo la cornice desiderata.

In questo senso, l’aritmetica morale è la forma più sottile di framing statistico: non falsifica i dati, ma decide quali vite contano e come devono essere pesate nell’immaginario collettivo.


Il caso ucraino, come quello palestinese, è un laboratorio di cornici speculari. Con la lente occidentale si contano capacità militari, si stressano le cyber-operazioni, si registrano campagne d’influenza: l’esito quasi naturale è il frame del “pericolo russo”. Con la lente russa, invece, l’allargamento a Est della NATO, l’architettura delle sanzioni, le basi ai confini e la memoria dei cambi di regime compongono il contro-frame del “pericolo occidentale”. Lo stesso meccanismo, mutatis mutandis, agisce sul dossier israelo-palestinese: a seconda della cornice cambiano antecedenti, proporzioni e lessico morale: l’“aritmetica” del racconto si sposta, e con essa il giudizio.
Non è relativismo: è anatomia della narrazione in controluce.

In entrambi i casi non tutto è propaganda, ma tutto è incorniciato: fatti, interpretazioni e interessi si comprimono nello stesso quadro. Riconoscerlo non significa relativizzare tutto; significa ricollocare ogni affermazione nella sua camera di risonanza.

In questo paesaggio, l’OSINT (Open Source Intelligence) non è il sole a picco che dissolve la bruma: è una luce bassa che fa emergere i rilievi. Immagini satellitari, tracciamenti marittimi e aerei, geolocalizzazioni social, registri pubblici, NOTAM, bilanci: incrociandoli si documentano movimenti, si smontano ricostruzioni fragili, si riconoscono pattern.
Ma l’OSINT vede ciò che è esposto, non le intenzioni; resta vulnerabile a deception, deepfake, esche; soffre di bias di selezione e conferma. È potente proprio quando integra giornalismo e ricerca, non quando pretende di sostituirli.

Il mainstream, per parte sua, esercita un potere inevitabile: definisce l’agenda, decide cosa portare in prima pagina e cosa lasciare ai margini.
È un potere che chiede responsabilità.
Al lettore spetta l’altra metà del patto: saper riconoscere la cornice, triangolare fonti eterogenee, chiedere numeri con il loro contesto (assoluti e relativi, serie continue, denominatori chiari), distinguere ciò che è fatto da ciò che è inferenza o opinione.
 È una postura cognitiva più che un elenco di strumenti: claim-evidence-confidence come grammatica minima: formulare l’affermazione, dichiarare le evidenze, indicare il livello di confidenza e i suoi limiti.

Alla fine, il tema non è scegliere tra cinismo e ingenuità. È accettare che, nei contesti ad alta densità informativa, l’infallibilità non è un’opzione possibile.
Possiamo però praticare una verità a gradi: non il sì/no, ma il più/meno probabile; non l’onniscienza, ma la responsabilità epistemica.
È qui che la riflessione del 2022 trova continuità: difendere il segreto dove serve,  per proteggere persone ed operazioni,  senza rinunciare a metodi che rendano più onesta la sfera pubblica.

La bussola nella nebbia non salva: orienta.
Rinunciamo all’onniscienza, pretendiamo solo un Nord sincero,   e la strada della consapevolezza, tra veli e controluce, si lascia camminare. Riconosciamo le cornici, incrociamo le fonti, coltiviamo i dubbi. La bussola allora si acquieta: non perché la nebbia finisca, ma perché abbiamo imparato a non smarrirci

Nota metodologica. Per leggere meglio durante il cammino:

  • decorniciare
    un testo chiedendosi quale elemento è stato reso saliente e quale escluso;
  • triangolare
    sistematicamente tra fonti istituzionali, indipendenti e open-source;
  •  contestualizzare i numeri
    con denominatori e serie storiche complete;
  •  curare la catena di custodia
    delle prove (link, versioni, orari, meteo, ombre, toponimi);
  • dichiarare l’incertezza
    usando una scala di confidenza motivata.

    Non è un rituale tecnicista: è educazione civica applicata all’informazione.

Riepilogo: nei conflitti, informazione pubblica e segreto legittimo convivono; il framing orienta lo sguardo più di quanto si ammetta; l’OSINT riduce l’incertezza ma non ne cancella la quota fisiologica.
La via praticabile non è lo smascheramento totale, ma un metodo che stimi meglio, spieghi i limiti e renda trasparenti i passaggi.
È poco? È abbastanza per non consegnarsi agli slogan.


Per responsabilità epistemica si intende questo: quando si produce o diffonde conoscenza (anche solo un’interpretazione), si ha il dovere di giustificare ciò che si afferma, calibrare quanto si è sicuri, mostrare i limiti delle prove e correggere se emergono dati migliori.
Non è solo etica professionale: è un habitus cognitivo: umiltà intellettuale, rigore, trasparenza.

In pratica, significa:

  • distinguere nettamente tra fatti, inferenze e opinioni;
  • triangolare le fonti e cercare anche ciò che potrebbe smentirti (non solo confermarti);
  • dichiarare un livello di confidenza (“alto/medio/basso”) e perché;
  • rendere visibile la traccia metodologica (da dove vengono dati, come sono stati verificati);
  • aggiornare e rettificare quando necessario.

Esempio rapido pratica OSINT/giornalismo:
“Questo video mostra un’esplosione vicino a X.” → Se responsabile: geolocalizza, verifica orario/condizioni, incrocia con più fonti, evita di attribuire subito la responsabilità se non ha elementi sufficienti, e chiude con “Confidenza: media (due fonti indipendenti; mancano dati ufficiali sul vettore)”.

Irresponsabile: “Y ha bombardato X” senza verifica né caveat.

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