Da decenni i vulcanologi monitorano i sistemi magmatici con una pluralità di tecniche che hanno rivoluzionato la nostra comprensione: sismicità, GNSS, InSAR, gravimetria, geochimica, modelli numerici.
È grazie a questo patrimonio di ricerca se oggi possiamo fare un passo in più.
La vera novità, infatti, non sostituisce nulla di ciò che è stato fatto: integra.
Stiamo entrando in una fase in cui gli stessi dati, sempre più accurati, possono convergere dentro sistemi digitali capaci di restituire una visione unitaria del vulcano come sistema dinamico in continua evoluzione.
Il concetto di digital twin vulcanico (un modello 3D/4D aggiornato in tempo quasi reale dalle misure) nasce proprio come naturale sviluppo del lavoro scientifico consolidato: un ambiente che permette di visualizzare, correlare e comprendere meglio ciò che già conosciamo, non di sostituirlo.
In questo senso possiamo iniziare a “pensare” il vulcano grazie al metodo scientifico e le future nuove tecnologie.
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Dove stiamo andando?
Dal vulcano misurato al vulcano “pensato”
Per decenni abbiamo osservato i vulcani come si guarda un malato cronico: visite periodiche, esami di controllo, qualche accertamento più invasivo quando i sintomi peggiorano.
Sismometri, stazioni GNSS, interferometria satellitare (InSAR), gravimetri, campionamenti di gas e fumarole hanno costruito archivi preziosi, ma frammentati. Ogni rete vede un pezzo della storia; il racconto complessivo è lasciato all’interpretazione degli esperti.
Oggi, però, sta cambiando l’impianto di fondo, più ancora che i singoli strumenti.
Stiamo passando dalla sommatoria di misure a qualcosa di qualitativamente diverso: un gemello digitale del sistema vulcanico o bradisismico, un modello numerico vivo che prova a “pensare” il vulcano come un sistema integrato, non come una collezione di grafici.
Questa transizione non è più solo una suggestione teorica: progetti europei dedicati ai rischi geofisici estremi hanno già avviato lo sviluppo di digital twin per vulcani reali. Il lessico non è più solo da convegno: sta entrando nei programmi di ricerca e, gradualmente, nell’agenda istituzionale.
Dal punto di misura alla mappa dinamica
Nel paradigma tradizionale:
- si raccolgono dati da reti diverse (GNSS, InSAR, sismicità, gravimetria, geochimica),
- si analizzano separatamente,
- si tenta poi una sintesi interpretativa, spesso a posteriori.
Funziona, ma resta parziale: ogni dataset vive nel proprio ambiente, nei propri software, nei propri gruppi.
Il “dove stiamo andando” punta invece verso un quadro diverso:
- Un modello 3D/4D della caldera,
costruito a partire da:- struttura geologica e tettonica nota,
- risultati di inversioni gravimetriche e tomografie sismiche,
- modelli del sistema idrotermale e delle camere magmatiche.
- Un ciclo continuo di aggiornamento (data assimilation):
- i dati GNSS, InSAR, sismici, gravimetrici e geochimici non sono più solo archiviati e interpretati dopo,
- ma entrano in un modello numerico che aggiorna continuamente la stima dello stato interno del sistema.
- Una restituzione orientata alle decisioni:
- scenari probabilistici di evoluzione (pressione idrotermale, risalita di magma, deformazione “solo elastica”…),
- stime di impatto su infrastrutture e aree abitate,
- indicazioni di supporto per chi deve decidere livelli di allerta, interdizioni, piani di evacuazione.
È, di fatto, il linguaggio dei digital twin geofisici: non più un vulcano come “oggetto naturale da misurare”, ma come sistema dinamico con cui mantenere un dialogo continuo.
Che cos’è un Digital Twin in questo contesto
Un digital twin non è un semplice “modello grafico 3D”, ma un ambiente cognitivo e computazionale che si concretizza in una replica digitale dinamica di un sistema reale, che vive e cambia insieme ad esso.
Nel caso di un vulcano o di una caldera bradisismica, significa:
- Un modello numerico 3D/4D
che rappresenta struttura geologica, camere magmatiche, sistema idrotermale, fratture, topografia, città, infrastrutture. - Alimentato da dati reali in tempo quasi reale
GNSS, InSAR, sismometri, gravimetri, misure di gas, immagini da droni e satelliti non finiscono solo in archivi separati:
vengono continuamente assimilati dal modello, che aggiorna la stima dello stato interno del sistema. - Capace di simulare scenari “what if”
Cosa succede se la pressione aumenta in un certo serbatoio?
Se il sollevamento accelera?
Se un’area si indebolisce strutturalmente?
Il digital twin permette di esplorare scenari possibili prima che accadano, stimando impatti su popolazione e infrastrutture. - Strumento di lavoro condiviso
Non è solo un codice per ricercatori: è un ambiente in cui scienziati, tecnici e decisori guardano allo stesso “oggetto digitale”, con parametri espliciti e risultati visualizzabili (mappe, grafici, animazioni).
In sintesi, è il digital twin è il passaggio dal “misurare e archiviare” al “pensare insieme” il vulcano, mettendo in dialogo dati eterogenei, fisica del sistema e decisioni operative.
Un esempio concreto, il digital twin dell’Etna
Quando parliamo di digital twin vulcanico non siamo più solo nel campo delle metafore.
All’Etna è in sviluppo un prototipo descritto da Chiara P. Montagna e colleghi dell’INGV come: “A digital twin for volcanic deformation merging 3D numerical simulations and AI” (EGU General Assembly 2024).
L’idea è molto vicina a ciò che descriviamo in questo testo:
- il gemello digitale dell’Etna combina simulazioni numeriche 3D elastostatiche (finite element) con le migliori conoscenze disponibili su topografia e proprietà elastiche delle rocce;
- su questo “motore fisico” vengono innestate due componenti di intelligenza artificiale (AI1 e AI2):
- AI1 viene addestrata su dati multiparametrici di monitoraggio per riconoscere automaticamente le situazioni di unrest;
- AI2 viene addestrata su un numero enorme di simulazioni (10^5–10^6) per risalire, a partire dal segnale di deformazione, alla posizione e intensità della sorgente di pressione (per esempio un dicco in intrusione).
In pratica, durante una crisi:
- AI1 “ascolta” in streaming la rete di monitoraggio e riconosce che è in corso una fase anomala;
- a quel punto attiva AI2, che usa l’archivio di simulazioni 3D per stimare dove e come sta cambiando la pressione all’interno dell’edificio vulcanico.
Il risultato non è un modello statico, ma uno strumento operativo pensato esplicitamente per le autorità di Protezione Civile, con un obiettivo dichiarato dagli autori: produrre un software open source, replicabile su altri vulcani.
Questo caso è importante per almeno tre motivi:
- mostra che il concetto di digital twin non è uno slogan: viene già usato da gruppi come INGV per costruire strumenti concreti;
- conferma la logica di un modello fisico 3D/4D + dati reali + AI come triade di base del gemello digitale;
- dimostra che il target finale non è solo la ricerca, ma la gestione delle crisi e il supporto alle decisioni.
È esattamente il tipo di direzione in cui il nostro “vulcano pensato” si sta muovendo.
Il ruolo della gravimetria
da misura specialistica a tassello del quadro
Dentro questo cambio di approccio, la gravimetria non è la novità in sé – è già da anni parte del monitoraggio vulcanico, ma cambia il modo in cui viene usata.
Nel contesto di un gemello digitale:
- le misure di gravità assoluta e relativa ricordano al modello che non esiste solo lo spostamento del suolo, ma anche la ridistribuzione di massa in profondità;
- la gravità funge da vincolo fisico:
- una stessa deformazione superficiale può corrispondere a scenari molto diversi,
- se aggiungo il vincolo su come varia g, alcune interpretazioni diventano meno plausibili, altre più probabili;
- la gravimetria aiuta a distinguere:
- sollevamenti guidati da fluidi idrotermali superficiali,
- processi più profondi legati a serbatoi magmatici,
- e, in alcuni contesti, variazioni nel contenuto d’acqua e nello stato poroso dei materiali.
In una sala di controllo che utilizza un digital twin, la gravità non è un grafico in più: è uno dei tasselli che garantiscono coerenza fisica alle simulazioni, al fianco di GNSS, InSAR, sismi e geochimica.
Più scale, più sguardi
da terra, dall’aria, dallo spazio
Il gemello digitale verso cui ci stiamo muovendo non è alimentato da un solo piano di osservazione, ma da una gerarchia di sensori:
- A terra (già realtà)
Reti GNSS, tiltmetri, sismometri, gravimetri assoluti e relativi forniscono una lettura continua, punto per punto, del “respiro” del vulcano o della caldera bradisismica. - In aria (frontiera prossima)
Droni e velivoli con camere ottiche, termiche, LiDAR e sensori geofisici stanno diventando componenti ordinari dei monitoraggi.
Su piattaforme aeree dedicate si stanno sperimentando anche gravimetri quantistici: ancora strumenti di ricerca avanzata, ma già capaci di operare in volo affiancando i gravimetri aerotrasportati tradizionali in missioni mirate. - Dallo spazio (orizzonte futuro)
Le costellazioni SAR forniscono già oggi misure di deformazione millimetrica.
In parallelo, progetti europei e statunitensi stanno sviluppando sensori quantistici di gravità per missioni satellitari: il loro impatto più immediato riguarderà probabilmente acqua, ghiaccio e grandi sistemi geofisici.
Per i vulcani e le caldere di dimensioni limitate, il contributo sarà soprattutto di contesto regionale, più che di dettaglio locale, almeno nel medio termine.
Un cambio di paradigma per la gestione del rischio
Per la Protezione Civile, il passaggio dal “vulcano misurato” al “vulcano pensato” comporta un cambio di mentalità.
Nel modello tradizionale, il tempo del monitoraggio e il tempo della decisione sono spesso separati: si studia, si interpreta, poi, in caso di crisi, si traduce tutto in scelte operative.
Con un digital twin maturo:
- il modello è costantemente in esecuzione,
- ogni nuovo dato aggiorna la stima dello stato interno e degli scenari possibili,
- le simulazioni what if diventano uno strumento ordinario, non eccezionale.
Non significa avere un oracolo infallibile, ma disporre di un ambiente condiviso in cui:
- scienziati, tecnici, decisori e, quando serve, comunicatori del rischio
- guardano allo stesso oggetto digitale, con parametri e ipotesi esplicite, discutibili, migliorabili.
Una finestra sulla frontiera quantistica
In questo quadro, la gravimetria quantistica è una frontiera tecnologica che si innesta su pratiche già esistenti, senza sostituirle.
Quando parliamo di gravimetro quantistico non aggiungiamo un vezzo di linguaggio: parliamo di uno strumento che misura la gravità usando direttamente la meccanica quantistica.
Invece di una massa meccanica, il gravimetro quantistico usa atomi ultra-freddi (di solito rubidio) fatti cadere in una camera a vuoto. Impulsi laser li mettono in uno stato di “onda di materia” che si divide e si ricompone come in un interferometro:
la differenza di fase accumulata dagli atomi durante la caduta è proporzionale all’accelerazione di gravità g.
In pratica:
- è un gravimetro assoluto, che misura il valore di g senza bisogno di calibrazione continua;
- ha una deriva nel tempo quasi nulla, ideale per monitorare variazioni lente su mesi o anni;
- raggiunge sensibilità molto elevate, capaci di rilevare cambiamenti minimi di massa nel sottosuolo.
Nel video allegato – l’intervista al Prof. Branca, registrata durante Timeless Entanglement a Pompei- si intuisce come questa frontiera stia diventando concreta: sull’Etna un gravimetro quantistico è già in sperimentazione come nuovo occhio per leggere i movimenti di magma e fluidi in profondità.
Queste prove non sostituiscono le reti tradizionali, ma le affiancano:
- validano sul campo la robustezza dello strumento in ambiente vulcanico reale;
- testano la sua capacità di cogliere segnali che, combinati con GNSS, InSAR e sismologia, possono affinare i modelli interni del vulcano.
Nel quadro del vulcano “pensato” e del digital twin, il gravimetro quantistico può diventare un sensore di frontiera che, in pochi siti chiave, si rivelerebbe una vera e propria “pietra di paragone” per misurare come cambia la massa nel tempo, contribuendo a migliorare la qualità dei modelli 3D/4D e riducendo l’incertezza sugli scenari di evoluzione.
L’esperienza sull’Etna raccontata dal Prof. Branca è, in questo senso, un’anteprima di ciò che potrebbe, un domani, essere esteso anche ad altre caldere attive ed ai loro probabili futuri gemelli digitali.
Per concludere, “Dove stiamo andando” non è verso un controllo totale del vulcano, che resterà sempre, almeno in parte, non totalmente prevedibile, ma verso un rapporto più consapevole con la sua complessità.
Il digital twin vulcanico non è una promessa di onniscienza: è un compagno di riflessione, un luogo in cui dati eterogenei, modelli fisici e decisioni pubbliche possono incontrarsi con maggiore trasparenza.
Dentro questo luogo, la gravimetria classica, e domani quantistica, non è protagonista solitaria, ma una voce tra le altre: capitolo di una storia più grande, quella di una società che, per proteggere i propri territori, ha scelto di ascoltare sempre meglio il linguaggio lento e profondo della Terra.
Approfondimento
Per chi vuole uno sguardo più tecnico su cosa rende possibile il “vulcano pensato”, ecco un esempio di lavoro numerico 3D che sta alla base dei futuri digital twin.
Il salto verso il gemello digitale non nasce dal nulla: è preparato da anni di lavoro sulla simulazione numerica 3D della dinamica magmatica.
Un esempio è lo studio di Deepak Garg e Paolo Papale (2022), High-Performance Computing of 3D Magma Dynamics, and Comparison With 2D Simulation Results, che utilizza il codice GALES e risorse di supercalcolo per simulare in 3D la convezione e il mescolamento tra magmi diversi in una camera magmatica.
In sintesi, questo lavoro mostra che:
- i sistemi magmatici sono intrinsecamente 3D: pennacchi, vortici, stratificazioni dinamiche assumono geometrie che il 2D può solo approssimare;
- le simulazioni 2D restituiscono una prima fotografia, ma tendono a sottostimare la velocità dei moti convettivi, l’efficienza del mixing e la varietà delle strutture interne;
- anche in 3D la camera non diventa mai un “frullatore perfetto”: il sistema evolve verso uno stato dinamico stratificato, con eterogeneità composizionali di lunga durata organizzate in regioni con circolazione quasi chiusa;
- per ottenere questo livello di dettaglio servono codici paralleli e HPC: le simulazioni girano su migliaia di core, mostrando che queste tecniche sono ormai praticabili su infrastrutture di calcolo avanzate.
Ritornando al discorso sul “vulcano pensato” e sul digital twin questo significa che:
- abbiamo già oggi un “cervello numerico” capace di rappresentare in 3D la dinamica interna di camere magmatiche realistiche;
- il gemello digitale non parte da zero, ma si innesta su questa base di modelli fisici 3D + supercalcolo, su cui innestare poi i dati reali (GNSS, InSAR, gravimetria, gas…) e i moduli di AI.
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