Governance olocratica ?

Il mondo non si lascia più leggere con le vecchie lenti. Non siamo più nell’epoca dell’impero unipolare, né in quella della guerra fredda tra due blocchi, né tantomeno nel multipolarismo classico fatto di potenze che competono ognuna per sé. La complessità del XXI secolo non si dispone a piramide, ma a reticolo.
Potenze economiche, tecnologiche, demografiche e simboliche si incastrano come cerchi che si intersecano, senza che uno prevalga sugli altri. Non è un equilibrio stabile, ma è resiliente, capace di riorganizzarsi dopo ogni shock.
È questo il terreno su cui si affaccia un concetto che affonda le sue radici non nella geopolitica, ma nella riflessione organizzativa e culturale: la governance olocratica. Un modello in cui il potere non si concentra in un vertice, ma si distribuisce in cerchi interconnessi, ognuno autonomo eppure integrato nel tutto.

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Geopolitica del XXI secolo: dal multipolarismo al reticolo globale

Le radici dell’olocrazia

Olocrazia significa “governo del tutto”. Non una sovrastruttura centralizzata, ma un insieme di cerchi interdipendenti, capaci di decisione autonoma ma legati da un ordine organico.
Già all’inizio del XXI secolo questa idea era stata esplorata come alternativa ai modelli manageriali tradizionali: da quelli piramidali delle imprese alle organizzazioni politiche e sociali.
Un nuovo paradigma organizzativo nella transizione dall’età della ragione all’età dell’empatia.
L’olocrazia si presentava come paradigma per il futuro: una governance distribuita, capace di integrare ragione e sensibilità, rigore ed adattività.

Olocrazia e simbiosi naturale

In natura, i sistemi più resilienti non sono quelli basati su un unico centro di comando, ma quelli che vivono di simbiosi. Coralli e alghe, micorrize e alberi, batteri e organismo ospite: in tutti questi casi le parti mantengono la propria autonomia, ma prosperano solo nella relazione reciproca.

L’olocrazia, applicata alle società e alla geopolitica, riflette lo stesso principio. Ogni cerchio di potere o di organizzazione resta distinto, ma la sua forza deriva dall’integrazione col tutto. Non c’è un vertice, ma un equilibrio organico, capace di adattarsi ai mutamenti.

In questo senso, parlare di governance olocratica significa immaginare un sistema politico che si ispira più alle reti simbiotiche della natura che alle piramidi del potere umano.

Oltre le piramidi

La storia ci ha abituati a riconoscere pochi modelli:

  • l’impero verticale, dove un centro/vertice domina;
  • il bipolarismo, che oppone due blocchi;
  • il multipolarismo, che moltiplica le potenze ma non i legami.

Eppure, ascoltando le dichiarazioni dei BRICS e osservando la cornice che vanno delineando, ciò che emerge non rientra in nessuna di queste categorie. Non è il ritorno di Roma, né la replica della Guerra fredda.
È piuttosto la figura inedita di un sistema senza vertice, dove le potenze si legittimano l’una con l’altra.
In altre parole: un abbozzo di olocrazia geopolitica, almeno nella forma codificata dalle dichiarazioni.

Le dichiarazioni e il reticolo multipolare

Le dichiarazioni non sono solo comunicati: sono atti performativi. Dicendo “cooperazione su valute locali, pagamenti, standard, catene del valore”, i BRICS non descrivono un mondo già esistente: lo chiamano in essere. È una politica del dire che diventa fare, una codifica di intenzioni che crea un orizzonte di riferimento attorno al quale si aggregano progetti, fondi, memorandum e task force.

Tre elementi chiave:

  • Ambiguità funzionale
    vaghezza costruttiva

    Le formule restano volutamente ampie (es. “rafforzare l’uso di valute locali”, “interconnettere i sistemi di pagamento”, “cooperazione su tecnologie critiche”). Questa ambiguità è il collante: consente a Paesi diversi per regime, interessi e stadio di sviluppo di riconoscersi nello stesso perimetro senza vincoli che li dividerebbero.
  • Dalla narrativa agli strumenti
    istituzionalizzazione graduale

    La codifica verbale prepara moduli operativi opzionali: finanza per lo sviluppo, reti di pagamento interoperabili, protocolli tecnici condivisi, schemi di certificazione, piattaforme logistiche. Non un trattato unico e rigido, ma un menu di cooperazione che i membri attivano a geometria variabile — minilateralismi dentro un ombrello multilaterale.
  • Norme e dignità
    l’offerta politica

    Sotto il lessico tecnico c’è una proposta: pari dignità, non-interferenza, libertà di manovra nelle politiche economiche. È una contro-narrazione rispetto ai formati occidentali percepiti come gerarchici o condizionanti. Non un vertice capo che ordina, impone dazi o condizioni, ma una cooperazione ragionata, in cui il potere si distribuisce tra cerchi interconnessi. Non un impero, ma l’abbozzo di una federazione olocratica: più funzioni, più poli, nessun centro unico.

In sintesi, quelle frasi ripetute nei comunicati non sono slogan, ma mattoni cognitivi con cui si costruisce un’architettura: un reticolo che vive di interdipendenze più che di obbedienze, dove la forza non è il comando ma la compatibilità finanziaria, tecnica, logistica, simbolica tra parti autonome.

In questo contesto propositivo, la Cina appare come cuore economico e tecnologico; la Russia porta il peso militare ed energetico, insieme alla copertura simbolica della deterrenza; l’India rappresenta la cerniera demografica e geopolitica.
Intorno, i BRICS allargati tessono una rete che guarda più a Est che a Ovest.

Non è un impero, ma un reticolo: non una piramide, ma un tessuto fatto di legami funzionali e coperture reciproche. È un organismo imperfetto, che proprio per questo resiste meglio agli shock e alle instabilità che frantumano le strutture rigide.

Opportunità e rischi

La governance olocratica, applicata alla geopolitica, apre scenari ambivalenti.
Da un lato, offre resilienza, riduce le egemonie, valorizza le differenze e distribuisce il potere su più poli.
Dall’altro, espone al rischio di frammentazione, a conflitti tra cerchi, a lentezze fatali nei momenti di crisi. Non è un modello armonioso, ma dinamico, conflittuale, capace di reggersi sulla tensione più che sull’equilibrio.

Una prospettiva storica

I cicli della storia, da Polibio a Spengler, mostrano che gli imperi verticali seguono sempre la stessa parabola: nascita, apogeo, declino. La potenza accumulata genera l’inerzia che li soffoca.

Ma oggi non sembra profilarsi soltanto l’ascesa di un nuovo impero a sostituire quello in
declino. Piuttosto, si intravede il contorno di una federazione olocratica, dove i poli si riconoscono e si legittimano senza cedere a un comando centralizzato.
La Cina, la Russia, l’India e i Paesi emergenti non stanno edificando un impero tradizionale, ma un reticolo geopolitico che si compone per interdipendenze.

È un modello fragile, certo. Ma rappresenta un’alternativa al destino che ha scandito i secoli: la logica imperiale verticistica, sempre votata a implodere.

Forse gli storici del futuro non leggeranno il XXI secolo come il trionfo di una nuova egemonia, ma come il primo esperimento di un mondo governato senza vertice.
Un mondo imperfettamente olocratico, fatto di cerchi che si intrecciano e si contendono lo spazio, ma che riconoscono di appartenere a un tutto.
Non più imperi che nascono e crollano, ma un laboratorio globale che tenta di governare la complessità con la logica della rete.


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