Blockchain e voto …

… un’utopia necessaria?

Blockchain: un futuro possibile

Immaginate un referendum nazionale senza code ai seggi, senza timori di brogli, con il risultato già verificabile la mattina dopo.

È questa la promessa del voto su blockchain: un sistema che registra ogni voto in modo sicuro, pubblico e immutabile, come una transazione bancaria.

Ma proprio perché così rivoluzionario, solleva domande cruciali:

  • basta la tecnologia per garantire fiducia?
  • come gestire l’accesso digitale, in un Paese dove non tutti hanno le stesse competenze e strumenti?
  • chi controllerà la rete: sarà davvero distribuita o finirà per concentrarsi in poche mani?

La blockchain non è una bacchetta magica. È uno strumento che può rendere la democrazia più trasparente e partecipata, a patto di integrarla con garanzie istituzionali, fiducia sociale ed educazione critica.

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Immaginate un futuro prossimo. È sera e un cittadino qualunque, dal suo smartphone, partecipa a un referendum nazionale. Non deve fare file, non deve temere brogli: il suo voto viene registrato su una blockchain pubblica, sicura quanto le transazioni bancarie che regolano l’economia globale. La mattina dopo, i risultati sono già visibili, verificabili da chiunque. Non c’è spazio per sospetti o manipolazioni: i dati sono lì, immutabili, davanti a tutti. In quel gesto semplice, un click certificato come un contratto digitale, la democrazia ritrova la sua promessa originaria: dare voce ai cittadini, senza mediazioni opache.

Si dice che in Ucraina non sia in corso una guerra civile, e qualsiasi prova che potrebbe dimostrarlo viene immediatamente scartata come propaganda. In realtà, il terreno dello scontro non è solo militare ma anche narrativo: ciò che conta non è soltanto ciò che accade, ma come viene raccontato e riconosciuto. È in questo spazio grigio, dove i fatti diventano oggetti di interpretazione, che si inserisce la provocazione di un politico ucraino: immaginare un sistema di voto su blockchain, capace, almeno in teoria, di produrre risultati incontestabili. La domanda implicita è semplice e radicale: se davvero vogliamo sapere cosa pensano i cittadini, perché non adottare una tecnologia che lo renda trasparente e verificabile da tutti?

Cos’è la blockchain e perché interessa la politica

La blockchain è un registro distribuito, pubblico e immodificabile. Ogni dato (o “blocco”) inserito è collegato al precedente e controllato da una rete di computer, non da un’autorità centrale. In economia la conosciamo per Bitcoin e criptovalute; in ambito sociale può diventare la base di un nuovo patto di fiducia. Applicata al voto, la blockchain promette:

  • Sicurezza
    nessun voto può essere cambiato o cancellato.
  • Trasparenza
    il conteggio è verificabile da tutti.
  • Velocità
    i risultati arrivano in tempo reale.

Cos’è una blockchain?
Immagina un grande registro pubblico, come un quaderno condiviso, che non sta in mano a una sola persona ma è copiato su tanti computer in giro per il mondo.
Ogni volta che qualcuno scrive una nuova informazione, questa viene trasformata in un “blocco” collegato in modo sicuro a tutti i blocchi precedenti (come gli anelli di una catena).
Una volta scritto, nessuno può cancellare o modificare ciò che c’è dentro senza che tutti se ne accorgano. Questo rende la blockchain un sistema molto difficile da falsificare.
Come potrebbe servire per il voto?
In un sistema elettorale basato su blockchain:

  • Ogni voto sarebbe registrato come un blocco nella catena.
  • Tutti i voti sarebbero visibili e verificabili (ma senza rivelare chi ha votato cosa, perché l’anonimato deve essere garantito).
  • Non si potrebbero aggiungere o cambiare voti “di nascosto”, perché la rete di computer controllerebbe continuamente che tutto sia in ordine.
  • Il conteggio dei voti sarebbe automatico e trasparente.

In sintesi, la blockchain promette più sicurezza, trasparenza e velocità.
Il punto delicato resta la tutela della segretezza del voto e l’accesso digitale per tutti: la tecnologia può aiutare, ma serve anche fiducia, regole chiare e soluzioni per non escludere chi non ha dimestichezza con il digitale.


Se è sicura per il denaro, perché non per il voto?

La blockchain non è più un esperimento confinato ai laboratori:

  • È usata come moneta digitale (Bitcoin, Ethereum, valute digitali delle banche centrali).
  • Garantisce la proprietà di opere creative e digitali con gli NFT.
  • Traccia le filiere alimentari, certificando qualità e provenienza dei prodotti dal campo al consumatore.

Se viene considerata affidabile per gestire miliardi di dollari o per certificare ciò che mangiamo, a maggior ragione potrebbe essere usata per la democrazia, per registrare i voti o misurare il consenso in maniera trasparente.

Il cuore della proposta
un sistema elettorale su blockchain

Un sistema in cui:

  • Ogni cittadino usa un documento elettronico (NFC) per validare la propria identità.
  • Il voto diventa una transazione registrata in blockchain.
  • L’anonimato è garantito con prove crittografiche (ZKP).
  • Il cittadino può verificare che il proprio voto sia stato contato senza dimostrare a terzi come ha votato.

Così il voto diventerebbe economico (pochi centesimi a transazione), accessibile ovunque e immediatamente verificabile.

Perché nasce questa proposta

Chi la sostiene denuncia che la politica è oggi filtrata da soldi, media e apparati. Le scelte degli elettori sono quindi indirette e limitate. Da qui l’idea di una democrazia diretta digitale che bypassi i filtri.
Nel caso ucraino, la piattaforma è pensata per permettere referendum frequenti e trasparenti, fino alla possibilità di pronunciarsi su temi vitali come la pace.

Criticità da affrontare

  • Inclusione digitale
    rischio di esclusione per chi non ha strumenti o competenze.
  • Sicurezza reale
    serve audit indipendente per garantire che i dati non escano dai dispositivi.
  • Anonimato
    fondamentale che non venga compromesso.
  • Legittimazione legale e politica
    senza riconoscimento ufficiale, la blockchain da sola non basta.

Un ritratto in controluce
chi è Murayev e perché la sua proposta divide

Murayev non è un tecnico né un accademico, ma un ex-deputato ucraino e imprenditore dei media. Figura controversa, è stato più volte definito filorusso per i suoi legami politici e per i canali televisivi a lui collegati (NASH, NewsOne), accusati di fare da cassa di risonanza a narrazioni ostili a Kiev. Nel 2022, il governo britannico lo ha persino citato come possibile candidato di Mosca in caso di cambio politico in Ucraina.
Il punto critico
La sua proposta di voto su blockchain non può essere letta come un gesto neutrale: per alcuni è un’idea visionaria per restituire potere ai cittadini; per altri è uno strumento per delegittimare le istituzioni filo-occidentali consolidate dopo il 2014.
La doppia lettura

  • Progetto neutrale
    occasione per sperimentare una democrazia diretta digitale.
  • Progetto politico
    tentativo di canalizzare consenso verso posizioni alternative.

La tecnologia non ha bandiere: la blockchain che certifica un vino DOC o un’opera d’arte è la stessa che potrebbe registrare un voto. Ma nelle mani di un politico controverso, l’innovazione diventa anche provocazione politica.

Quando il messaggero oscura il messaggio

Qui si innesta un altro tema: quello dei bias cognitivi. Spesso giudichiamo un’idea non per il suo contenuto ma per chi la propone. Se il messaggero ci è simpatico, sopravvalutiamo il progetto; se ci è antipatico, lo scartiamo a priori. È l’halo effect, un filtro che distorce il giudizio.
Il caso Murayev è emblematico: la proposta di blockchain per il voto da lui proposto rischia di essere liquidata come “strumento filorusso” senza esaminare la sostanza tecnica.
Ma, come osservavo nell’articolo Prove Me Wrong. Uccidere il Messaggero non cambia il Messaggio, separare chi parla da ciò che viene detto è fondamentale: un codice open source, audit indipendenti, trasparenza dei processi sono criteri più solidi del pregiudizio sulla persona.

La guerra delle narrazioni
quando il referendum diventa un’arma comunicativa

Nell’attuale conflitto ucraino il tema del referendum è già stato al centro di scontri narrativi. L’Occidente considera i voti organizzati nelle zone occupate o filorusse come manipolati, “farsa elettorale” priva di legittimità. Mosca, al contrario, li esibisce come prova di consenso popolare.

Questo mostra come il referendum non sia solo uno strumento democratico, ma anche un’arma comunicativa: chi controlla il contesto decide se un voto è “vero” o “falso”. In questo quadro, l’adozione di una tecnologia trasparente come la blockchain potrebbe, almeno in teoria, ridurre lo spazio per la manipolazione, rendendo ogni passaggio verificabile e pubblico.

Ma proprio perché eliminerebbe l’ambiguità utile a entrambi i fronti per perseguire un progetto di pace, un simile strumento non trova facilmente applicazione e viene narrato come utopia da chi lo teme. La democrazia digitale basata su blockchain diventa allora un paradosso politico: più è tecnicamente solida, più mette in discussione le convenienze di chi domina la narrazione.


Una definizione dei termini per il cittadino comune

  • Blockchain
    registro digitale distribuito che conserva dati in modo sicuro, trasparente e immodificabile, senza bisogno di un’autorità centrale.
  • DAO (Decentralized Autonomous Organization)
    organizzazione digitale che funziona tramite regole scritte in smart contract su blockchain, senza un’unica guida centrale.
  • Smart contract
    programma informatico che esegue automaticamente regole o transazioni al verificarsi di determinate condizioni, registrato sulla blockchain.
  • ZKP (Zero-Knowledge Proof, prova a conoscenza zero)
    tecnica crittografica che permette di dimostrare che un’informazione è vera senza rivelare l’informazione stessa (es. dimostrare di avere diritto al voto senza dire chi sei o cosa voti).
  • NFT (Non-Fungible Token)
    certificato digitale unico basato su blockchain che attesta la proprietà di un’opera d’arte o di un contenuto digitale.
  • EVM (Ethereum Virtual Machine)
    ambiente che permette di eseguire smart contract sulla rete Ethereum e su blockchain compatibili.
  • NFC (Near Field Communication)
    tecnologia che consente a dispositivi elettronici di scambiarsi dati a breve distanza, usata anche nei documenti elettronici (passaporti, carte d’identità).
  • Inclusione digitale
    capacità di garantire accesso e competenze digitali a tutti i cittadini, evitando che una parte della popolazione resti esclusa da strumenti innovativi come il voto elettronico.
  • Halo effect
    bias cognitivo che ci porta a giudicare positivamente o negativamente un’idea in base alla simpatia o antipatia per chi la propone.

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