Kaliningrad russa. Warmia-Masuria polacca. Prussia Orientale tedesca.

Storia e paradosso di un’eredità condivisa, ma raccontata a due pesi e due misure

Kaliningrad russa. Warmia-Masuria polacca. Prussia Orientale tedesca.
Tre nomi, tre bandiere, tre destini. Eppure parliamo della stessa terra. Un territorio che fino al 1945 era un’unica entità: la Prussia Orientale; e che la fine della Seconda guerra mondiale ha smembrato, riassegnandone la parte settentrionale all’Unione Sovietica e quella meridionale alla Polonia.

Oggi, nelle cronache, si moltiplicano i segnali di preoccupazione per Kaliningrad: la Russia vi rafforza le difese e mostra i muscoli con esercitazioni nel Baltico, mentre NATO e Polonia pianificano scenari di blocco logistico dell’enclave. La tensione si intreccia con una storia poco raccontata: quella di due eredità territoriali gemelle, nate dallo stesso trattato e dallo stesso esodo di popolazioni, ma giudicate con due pesi e due misure.


Kaliningrad e Warmia-Masuria sono due lembi di Prussia Orientale sottratti alla Germania.
Fino al 1945, alla fine della Seconda guerra mondiale, quelle terre erano tedesche.
La Prussia Orientale, con capitale Königsberg, non era né russa né polacca.
Dopo la caduta del Terzo Reich, l’Armata Rossa occupò l’intera regione e alla Conferenza di Potsdam le potenze vincitrici decisero la spartizione: la parte settentrionale alla nascente potenza sovietica, la parte meridionale alla Polonia. La popolazione tedesca fu espulsa, le città e i villaggi ripopolati con coloni provenienti da altre regioni dell’URSS e della Polonia.

Kaliningrad, ex Königsberg, divenne un avamposto strategico sul Baltico per la flotta sovietica, porto libero dai ghiacci e base militare di primaria importanza.
La Polonia, invece, inglobò la sua parte come Voivodato di Warmia-Masuria, guadagnando laghi, foreste, terre agricole e ampliando notevolmente il proprio sbocco al Mar Baltico.
Questo avvenne in cambio delle regioni orientali cedute all’Ucraina e alla Bielorussia sovietiche, in applicazione della linea Curzon rivista.


Le regioni orientali che la Polonia cedette all’Unione Sovietica dopo la Seconda guerra mondiale e che andarono alla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina (oggi Ucraina) erano in gran parte quelle che fino al 1939 facevano parte della cosiddetta Polonia orientale (Kresy Wschodnie).

Per la parte ucraina, le principali furono:

  • Voivodato di Leopoli (Województwo Lwowskie), con la città di Leopoli/Lwów (oggi Lviv) e un’ampia parte della Galizia orientale.
  • Voivodato di Tarnopol (Województwo Tarnopolskie),  con città come Tarnopol (oggi Ternopil).
  • Voivodato di Stanisławów (Województwo Stanisławowskie),  oggi Ivano-Frankivsk.
  • Parte orientale del Voivodato di Volinia (Województwo Wołyńskie), inclusa la città di Łuck (oggi Lutsk).
  • Parte meridionale del Voivodato di Polesie, zone paludose e rurali a cavallo tra Ucraina e Bielorussia di oggi.

 La Polonia perse la Galizia orientale e gran parte della Volinia, cioè territori a maggioranza ucraina (secondo i criteri etnici dell’epoca), che furono incorporati nell’Ucraina sovietica in base alla linea Curzon rivista.


Quelle regioni,  in particolare la Galizia orientale e gran parte della Volinia,  secondo i criteri etnici dell’epoca, basati su lingua parlata e appartenenza religiosa, avevano una popolazione rurale prevalentemente ucraina/rutena, mentre le città come Leopoli, Ternopil o Stanisławów avevano una forte presenza polacca ed ebraica. Alla luce dei criteri odierni, si riconosce che erano aree a composizione mista, con identità molto diverse tra aree urbane e rurali. Questa complessità, però, fu ridotta a una formula politica semplificata, detti “territori a maggioranza ucraina”, per legittimare l’annessione all’Ucraina sovietica.

Capire questa sfumatura non è solo un esercizio storico: significa riconoscere che l’Ucraina di oggi conserva ancora, soprattutto tra ovest ed est, differenze etniche, linguistiche e culturali radicate. Differenze che, dopo il 1991, sono state in parte politicizzate, in parte strumentalizzate, fino a contribuire a una polarizzazione interna che ha reso più fragile la coesione del Paese. Un terreno già diviso su cui si sono innestate, prima, le tensioni del 2014 e, poi, l’invasione russa del 2022.

Dopo il 1991, la dissoluzione dell’URSS trasformò Kaliningrad in un’enclave russa isolata dal territorio principale, circondata da Stati ora membri dell’UE e della NATO.
La Polonia, al contrario, integrò senza attriti la sua eredità prussiana e il suo allungato fronte costiero, che non sono mai stati messi in discussione, né da Varsavia né dalle cancellerie occidentali.

Ecco il paradosso: Russia e Polonia, pur oggi contrapposte e rivali, sono entrambe custodie e beneficiarie  di una spartizione che cancellò dalla mappa una delle regioni storiche della Germania. La differenza è che una di queste eredità è costantemente al centro del dibattito internazionale, l’altra vive nell’assoluto silenzio.

Essere intellettualmente onesti significa ammettere che la storia non è a senso unico. Le mappe politiche, con i loro confini tracciati a tavolino, sono il prodotto di trattati e di guerre, non di un ordine naturale immutabile.
Non è diverso da quanto accade in molte altre regioni del mondo, dove confini antichi, identità stratificate e traumi del passato convivono sotto lo stesso cielo. E forse anche riconoscere che il peso delle identità storiche, se ignorato o manipolato, può riemergere decenni dopo come frattura geopolitica, come sta accadendo oggi, non solo ( forse ?), in Ucraina …

Per questo, la gestione dell’informazione da parte dei media di massa dovrebbe essere intellettualmente onesta: perché è attraverso il racconto pubblico che si forma la percezione collettiva delle cause e delle responsabilità. Un’informazione distorta o parziale non solo alimenta divisioni e pregiudizi, ma rischia di diventare essa stessa uno strumento di conflitto, anziché un mezzo per comprenderlo e, forse, disinnescarlo.


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