Coscienza animale, empatia e la profondità che ci sfugge
Per anni ho praticato la pesca subacquea in apnea. Conoscevo ogni scoglio, ogni ombra, ogni tecnica per avvicinarmi al pesce senza farmi vedere.
L’acqua era silenzio, il mio corpo era arma, il mio respiro un tempo da gestire.
Il pesce era preda, nulla più. Agiva d’istinto, si muoveva per sopravvivenza. O almeno così pensavo.
Poi ho iniziato a immergermi con le bombole. A respirare sott’acqua. A rallentare. A guardare davvero. E lì ho visto ciò che prima non vedevo.
Ho visto i pesci osservare me.
Non in modo casuale, ma con attenzione. Valutando la mia presenza. Ho finalmente capito che sapevano se avevo un fucile o no.
Quando ero disarmato, molti si avvicinavano, incuriositi.
Quando avevo l’arma, restavano lontani, guardinghi, diffidenti.
Non era solo istinto: era lettura dell’intenzione. Un comportamento che suggerisce consapevolezza, esperienza, forse perfino una forma elementare di coscienza.
E allora la domanda è venuta da sé: se un pesce può capire, può anche soffrire?
La sofferenza delle trote iridee
Metodo studiato
I ricercatori hanno applicato il Welfare Footprint Framework alla macellazione per asfissia in aria della trota iridea (Oncorhynchus mykiss), un metodo diffusissimo negli allevamenti commerciali.
Misurazione del dolore
– Durata media: circa 10 minuti di dolore consistente e crescente, fino alla perdita di coscienza.
– Intensità: dall’ansia e agitazione iniziali (segmento I) a crisi metaboliche ed ipercapnia (segmenti II–III), quindi spossatezza e declino dell’attività cerebrale (segmento IV).
– Dolore normalizzato: ~ 24 minuti di sofferenza per kg di peso corporeo (intervallo plausibile 3,5–74 min/kg).
Conseguenze etiche
– Un singolo allevamento da 1 tonnellata di trote produce oltre 2400 kg·min di sofferenza cumulativa.
– Su scala globale, con miliardi di pesci allevati e macellati ogni anno, il carico di dolore raggiunge ordini di grandezza mai considerati nelle politiche di benessere animale.
Mitigazione possibile
– Stordimento elettrico o percussivo: riduce la durata della sofferenza fino al 95%, se applicato correttamente.
– Regolamenti UE: in discussione nuove linee guida per rendere obbligatorio il pre-stordimento dei pesci prima della macellazione.
Fonte: Scientific Reports, giugno 2025.
La scienza oggi ci dice di sì. Non solo che i pesci provano dolore, ma che sono coscienti del dolore che provano. Uno studio pubblicato nel 2025 su Scientific Reports ha misurato la sofferenza delle trote iridee lasciate morire per asfissia in aria: dieci minuti di dolore intenso, consapevole, prolungato. Un tempo lunghissimo per un essere vivente che sente e non può fuggire.
Non è solo una reazione chimica. È un’esperienza. Un evento soggettivo. Una forma di sofferenza che, sebbene ci appaia “diversa” dalla nostra, non è per questo inferiore. E allora, perché continuiamo a comportarci come se non esistesse?
Forse perché ci è più facile pensare che il pesce sia solo un corpo. Una cosa. Un oggetto. Non un soggetto.
Ma poi arriva il polpo.
Se c’è un animale che ha scardinato le nostre certezze, è lui. Il polpo ha mostrato comportamenti così complessi da imbarazzare anche i biologi più scettici.
Risolve problemi, si mimetizza, impara dall’esperienza, gioca.
I suoi tentacoli hanno una sorta di intelligenza distribuita.
Le sue azioni non sono casuali, ma intenzionali.
Nel 2021, un importante report della London School of Economics ha riconosciuto ufficialmente che i polpi, insieme a crostacei e cefalopodi, sono senzienti, capaci di provare dolore, paura, emozione.
Le sorprendenti capacità cognitive del polpo
Sistema nervoso fuori dal comune
Il polpo (Octopus vulgaris e altre specie affini) ha circa 500 milioni di neuroni: un numero paragonabile a quello di un cane.
Ma la vera particolarità è nella distribuzione: due terzi dei neuroni si trovano nei tentacoli, che agiscono quasi come “braccia pensanti”, dotate di una certa autonomia decisionale.
Apprendimento e memoria
– Risolve labirinti e compiti complessi.
– Apprende per osservazione, cioè guardando cosa fa un altro polpo.
– Ricorda soluzioni e le applica in situazioni nuove.
Gioco e manipolazione
– È una delle poche specie marine documentate mentre gioca, comportamento associato a forme evolute di consapevolezza.
– Interagisce con oggetti per semplice curiosità.
Comunicazione e personalità
– Cambia colore e texture non solo per mimetizzarsi, ma anche per comunicare stati emotivi (stress, paura, attacco, socialità).
– Mostra differenze individuali nel comportamento: alcuni sono più esplorativi, altri più prudenti: segnali di una personalità distinta.
Riconoscimento dell’umano
In contesti controllati, alcuni polpi riconoscono e distinguono le persone in base al comportamento: amichevoli o minacciose.
Riconoscimento scientifico e giuridico
– Nel 2021, il report della LSE (London School of Economics) ha certificato che i polpi sono esseri senzienti, capaci di provare dolore e piacere.
– Il Regno Unito ha inserito i cefalopodi nella legge sul benessere animale, riconoscendo i loro diritti minimi di tutela etica.
In sintesi, il polpo non è solo intelligente. È un essere che esplora, apprende, valuta e reagisce al mondo con complessità. Ignorarne la coscienza significa negare una delle menti più straordinarie del regno animale.
È una rivoluzione. Non solo scientifica, ma culturale.
Perché se il polpo pensa, se il pesce sente, non possiamo più ignorare il fatto che gli animali marini non sono solo natura: sono coscienze altre.
Quando siamo sott’acqua, respiriamo nel loro mondo. Un mondo antico, vasto, misterioso. Ma anche popolato da esseri viventi che ci osservano, ci leggono, ci decifrano.
La coscienza animale non è identica alla nostra, ma è reale.
È situata.
È evolutiva. Ed è questo che dovrebbe interrogarci.
Se riusciamo a vedere l’altro, anche un pesce, come portatore di soggettività, allora cambia tutto.
Cambia il modo in cui consumiamo, in cui peschiamo, in cui alleviamo. Ma cambia anche il modo in cui ci definiamo come specie.
Non più padroni, ma coabitanti.
Non più dominatori, ma testimoni di coscienze altre.
Là sotto, nel blu profondo, qualcosa ci guarda.
E nel suo sguardo c’è una domanda: chi sei, tu, quando non vuoi farmi del male?
La risposta a questa domanda, forse, è il primo passo per diventare veramente umani.
Ma forse tutto questo, il cambiamento, la comprensione, l’empatia con la Natura, ha origine proprio in uno stato particolare: quello che gli psicologi chiamano flow, e che io ho imparato a riconoscere nella profondità del Mare.
Ne ho scritto in un’altra riflessione intitolata Being in the Flow, quando perdo il controllo di me, dove descrivevo quella condizione in cui attenzione, gesto e coscienza si fondono.
Ma oggi so che quel flow non è solo un’esperienza interiore. È anche uno spazio condiviso. Perché là sotto, in quel tempo liquido, non ero solo io a entrare nel flusso.
C’erano anche loro: i pesci, i polpi, l’ecosistema intero. Non solo io li osservavo: mi osservavano anche loro.
E in quello scambio silenzioso, in quella reciprocità, qualcosa è cambiato.
Il flow diventa una soglia.
Un punto d’incontro tra coscienze diverse, tra percezioni diverse.
Un luogo in cui la mia vulnerabilità umana si è intrecciata con la loro presenza animale, creando un’esperienza più vasta, quasi rituale.
Forse è questo il senso più profondo dell’immersione: non dominare il mondo sottomarino, ma ascoltarlo.
Entrare nel suo ritmo.
Perdere il controllo… per guadagnare coscienza condivisa.

Lascia un commento