The Homesman. Ancora un western revisionista, che scava nella follia silenziata

C’è un genere cinematografico che ha contribuito più di ogni altro alla costruzione del mito americano: il western. Ma ci sono anche opere che, invece di perpetuarlo, lo decostruiscono, smascherandone le retoriche e riportando alla luce le vittime dimenticate. The Homesman ( il Rimpatriatore) di Tommy Lee Jones è uno di questi film.
Un’opera dura, scomoda, eppure necessaria, che rientra pienamente nel filone del cinema western revisionista. Un cinema che non racconta il West come epopea di conquista, ma come spazio di esclusione, fallimento e follia.

Basato sull’omonimo romanzo di Glendon Swarthout, The Homesman segue Mary Bee Cuddy (Hilary Swank), una donna sola e indipendente, esclusa da una società che giudica le donne in base alla docilità e alla bellezza.
In una comunità maschile che si rifiuta di affrontare il dolore psichico delle proprie mogli – tre donne impazzite a causa della durezza inumana della vita di frontiera – sarà proprio Mary Bee a farsi carico del compito: riportarle a est, lontano da un mondo che le ha consumate.

Il film non racconta una missione eroica, ma un rituale laico di espiazione collettiva, un viaggio verso la consapevolezza che la civiltà americana è stata costruita anche sul silenzio delle donne raggirate da uomini avventurieri ed avidi, sulla loro esclusione, sulla loro sofferenza.
Mary Bee non è un’eroina romantica: è una figura tragica, forte e disperata, che rappresenta un’intera generazione di donne dimenticate dalla storia ufficiale.

E qui si inserisce un dato fondamentale: la genesi del romanzo, raccontata nella postfazione dal figlio dell’autore, Miles Swarthout.
Glendon Swarthout fu colpito da alcune fonti storiche che descrivevano casi reali di donne del Midwest impazzite per il dolore, l’isolamento, la pressione sociale e le condizioni estreme.
Donne che venivano letteralmente “rimpatriate” dopo essere state “usate” dai loro uomini, trasportate indietro verso l’Est come carichi scomodi.
Il romanzo nacque da un’esigenza di giustizia narrativa: dare voce a chi ne era stato privato, rovesciare la prospettiva dominante e restituire complessità alla figura femminile nella Storia americana.

Tommy Lee Jones, nel trasporre questo materiale, adotta uno stile anti-spettacolare, essenziale, che rifiuta i codici estetici tradizionali del western. Nessuna cavalcata gloriosa, nessun duello al tramonto. Solo paesaggi aridi e indifferenti, silenzi, corpi spezzati.
George Briggs (lo stesso Jones), l’homesman riluttante che accompagna Mary Bee, è una figura di decadenza morale, un uomo cinico, sopravvissuto più per fortuna che per virtù.
Il gesto finale – una danza scomposta su una zattera, tra la musica e l’oblio – suggella un cinema che rifiuta la redenzione.

In questo, The Homesman dialoga idealmente con altri grandi esempi di western revisionista e cinema di contro-narrazione: Meek’s Cutoff di Kelly Reichardt, che racconta l’illusione cieca della guida maschile, e Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese, che denuncia la violenza sistemica travestita da progresso. Tre opere diverse, ma unite dal coraggio di guardare dove la Storia ha voltato le spalle.

The Homesman non è un film consolatorio. Non è un film che “piace”. È un film che interroga. Che chiede allo spettatore di uscire dal mito e guardare la realtà: quella dei corpi dimenticati, delle menti spezzate, delle donne sacrificate in nome di un’idea di civiltà che spesso è coincisa con l’annientamento. Senza mai nominare i nativi americani, il film non si sottrae alla responsabilità morale: mostra la conquista non come gloriosa espansione, ma come sistema escludente e patriarcale.

Questo è il senso più profondo del western revisionista: non raccontare ciò che è stato, ma ciò che è stato nascosto.


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5 pensieri riguardo “The Homesman. Ancora un western revisionista, che scava nella follia silenziata

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    1. Complimenti per la tua cultura cinematografica: in molti non l’hanno mai neanche sentito nominare, figuriamoci averlo visto. Complimenti anche per il tuo talento come blogger: ho letto altri tuoi post, e a 2 di essi ho lasciato un Mi piace grosso quanto una casa. Tornando al film western di cui parlavo nel commento precedente, qual è la tua opinione su di esso?

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      1. no scusa ho fatto confusione, mi sono incasinato con i commenti … no non l’ho visto, lo cerco …

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      2. Ad ogni modo, non è che abbia tutta ‘sta gran cultura cinematografica, anzi …
        Quello che mi interessa del cinema, anche perché ci lavoro, è più che altro l’aspetto tecnico, ma soprattutto, per quello che è la mia ricerca di base, mi incuriosisce professionalmente il lato motivazionale dietro la scrittura creativa di un plot e come questo poi prende forma sullo schermo.

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    2. no non l’ho visto, scusa mi sono incasinato con i commenti … non sono pratico nel leggerli perchè non sono abituato nel riceverli … quindi, ahimè, neanche nel rispondere 😦

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Scrivi una risposta a Vittorio A. Dublino Cancella risposta

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