il cervello prende il comando
Questo è il capitolo 2 della serie sul tempo. Nel primo abbiamo guardato fuori, tra esperimenti e frecce che inciampano; qui andiamo dentro, dove luce, abitudini e relazioni tengono in fase il nostro orologio. Il prossimo parlerà del tempo della decisione.
Il tempo non inciampa solo nei laboratori: inciampa anche in noi.
Se togli luce, orologi e voci del mondo, non resti “senza tempo”: te ne costruisci uno.
Di solito è più largo e più lento. Lo chiamiamo ritmo, ma è un patto tra corpo, mente e ambiente.
Finché i donatori di tempo bussano alla porta con una finestra che si apre, un caffè alla stessa ora, la campanella che ci ricorda l’evento quotidiano, una conversazione che ritorna: il patto regge. Quando il mondo tace, il patto salta.
Un “giorno” può allungarsi fino a 36 ore, una “notte” durare 12, la memoria può perdere colpi.
Gli scienziati chiamano Zeitgeber i donatori di tempo.
La luce è il metronomo principale: anticipa o ritarda l’alba interiore, accende l’attenzione, stabilizza l’umore. Contano anche abitudini, pasti, temperatura, qualità delle relazioni. Se questi ganci si sfilano, l’orologio interno non si ferma: va in free-run.
Non è un “24” perfetto: è un “circa 24” che, senza luce e relazioni, slitta.
I donatori di tempo, gli Zeitgeber
Gli zeitgeber non sono regole: sono binari.
La luce del mattino è la manopola principale. Poi ci sono i ritorni silenziosi: un caffè che non salta, un pasto regolare, la chiamata che torna alla stessa ora. Se mancano, l’orologio entra nel“circa 24” e deraglia piano piano.
La buona notizia: i ganci si progettano. Non per vivere a cronometro, ma per far parlare il tempo interiore con il tempo sociale.
Siffre e la grotta che ha fatto scuola
Prodromo dei primi esperimenti in Antartide, c’è stata una grotta.
Nel 1972, Michel Siffre si chiuse per 205 giorni nella Midnight Cave (Texas): niente sole, niente orologi, nessuna voce.
A ondate il suo ritmo si allargò: 36 ore di veglia e 12 di sonno. Non una nuova norma per tutti, ma un pattern che emerge quando i ganci con l’esterno si sciolgono.
Già nel 1962, in una grotta alpina, provando a contare due minuti a mente, al rientro scoprì che erano passati quasi cinque, di minuti.
Da lì si apre una stagione: l’isolamento come laboratorio naturale per capire come il cervello costruisce il tempo quando i Zeitgeber tacciono.
Questi dati arrivano ai tavoli di chi progetta missioni, sottomarini, basi polari.
Il messaggio è semplice: senza ancore, la mente si fa un orologio di riserva. Funziona, ma è più fragile.
La grotta che ha “allargato” il tempo
A 23 anni, Michel Siffre scende nel gouffre di Scarasson nell Alpi Marittime, per 63 giorni, senza sole né orologi.
Stabilisce una procedura semplice: chiama la squadra in superficie al risveglio, ai pasti e prima di dormire, senza ricevere chiamate in ingresso (niente indizi sul tempo esterno).
In ogni chiamata esegue un test: contare da 1 a 120 “a un secondo”. Il risultato stupisce: gli servono circa 5 minuti reali. Quando riemerge, crede sia il 20 agosto; in realtà è metà settembre. Qui compaiono due effetti-chiave: compressione del tempo psicologico e deriva della data in assenza di zeitgeber.
Dieci anni dopo, Siffre si isola per 205 giorni nella Midnight Cave in Texas.
Compaiono ondate di “giorni lunghi”: 36 ore di veglia seguite da 12 di sonno, il fenomeno non è continuo per tutto l’esperimento. È il segno del tempo che si allarga: senza ancore esterne, il ciclo sonno/veglia può raddoppiare episodicamente.
L’esperimento è seguito e in parte sostenuto da enti di ricerca francesi e dalla NASA, interessati agli effetti dell’isolamento per definire procedure nelle lunghe missioni spaziali e militari nei sottomarini.
Nei diari compaiono anche tracce del costo mentale: il celebre episodio del topolino al giorno ~160.
L’esperimento dimostra:
1) che gli umani hanno un orologio interno che, senza zeitgeber, deriva oltre le 24h; in più individui compaiono pattern ~48h (veglia prolungata + sonno più lungo).
2) La percezione soggettiva del tempo può contrarsi rispetto al tempo reale (2′ “sentiti” che durano 5′). 3) L’isolamento è un banco di prova per lo spazio e gli ambienti estremi: luce e routine diventano strumenti di fase, non semplici dettagli.
Il lavoro di Siffre contribuisce a fondare la cronobiologia umana moderna e fornisce metodo: misure comportamentali regolari, niente indizi esterni, diari e analisi fisiologiche.
Perché “tempo che si allarga”?
In questo lessico, “si allarga” significa due cose osservate da Siffre e il suo team di ricerca: giorni funzionali più lunghi (cicli di attività/sonno che si distendono oltre le 24h) e una frattura tra tempo vissuto e tempo dell’orologio.
In assenza di luce e ritmi sociali, il cervello costruisce un tempo proprio: utile a sopravvivere, ma più fragile e meno sincronizzato con il mondo
Nell’ Antartide, dove il mondo parla piano
A Concordia, nel cuore dell’Antartide, il patto del tempo si vede bene: notte polare, alta quota ipobarica, gruppi piccoli e isolati.
In inverno il sonno tende a frammentarsi e la fase circadiana si sposta in ritardo; quando non è in linea con turni e pasti, calano performance e umore.
La melatonina slitta più tardi: luce intensa al mattino e luce gentile la sera aiutano a rimettere in fase. Non è teoria: è pratica ripetuta su equipaggi polari.
Concordia è anche un ambiente analogo spaziale: per questo ESA e NASA la usano per studiare insieme ritmi, stress, immunità.
Il risultato è che il tempo interno è una variabile di missione, da progettare come aria e acqua.
Conta anche la storia di una luce personale: a parità di base, alcuni deragliano di più, altri meno. Ha senso combinare routine condivise e illuminazione personalizzata quando serve.
Cosa ci portiamo a casa
Le stazioni polari e gli analoghi marziani mostrano che l’assenza di zeitgeber sociali altera i ritmi: il sonno si sfrangia, l’umore oscilla.
La risposta è semplice e robusta: luce piena al mattino, gentile la sera; sequenze ripetibili che fanno da appigli; momenti condivisi (pasti, attività) che valgono doppio: orologio e legame. Non servono “più ore”: serve metterle in fase.
Non serve una grotta per perdersi. Bastano schermi che si riflettono nei nostri occhi fino a tardi, turni che saltano, pasti sballati, notifiche nella notte.
Sono piccoli isolamenti che si sommano.
Il tempo sociale impone le 24 ore; il tempo interiore negozia e, se non trova appigli, frena o accelera: l’attenzione sfarfalla, la memoria scivola, il tono che scende.
Quando i due orologi invece si parlano, succede l’ovvio: si impara meglio, si dorme meglio, si sta meglio con gli altri.
Per una pedagogia del tempo
Al mattino: cerca luce vera, meglio all’aperto.
Alla sera: abbassala.
Mantieni 2 o 3 abitudini che non saltino: un pasto, una routine di lavoro, un gesto di cura, intese come cornici, non come gabbie.
Ogni giorno apri una finestra analogica di 30 minuti senza schermi.
Coltiva tempo condiviso: scuola, sport, volontariato come metronomi sociali che ti tengono in fase con la comunità e riducono la percezione d’isolamento
Se lavori di notte, crea cicli coerenti e governa la luce: è un discreto medicamento.
Per chi volesse approfondire, ecco alcuni riferimenti scientifici…
- Sleep, Circadian Rhythms and Performance During Space Shuttle Missions
Nelle missioni Shuttle degli anni ’90 si è visto chiaramente quanto lo spazio possa scompaginare i nostri orologi interni. Cicli sonno-veglia più corti di 24 ore, luce insufficiente e variabile, sonno ridotto a poco più di sei ore e prestazioni cognitive in calo. La melatonina non ha funzionato, e solo al ritorno sulla Terra il corpo ha recuperato, esplodendo in un surplus di sonno REM. - Stability, Precision and Near 24 Hour Period of the Human Circadian Pacemaker
Per anni si è pensato che l’orologio biologico umano fosse “più lungo” di quello degli altri animali, con cicli anche di 25 ore o più. Ma quelle stime erano viziate da condizioni di luce inadeguate. Studi più recenti, in ambienti controllati, hanno mostrato che il nostro ritmo interno è in realtà molto preciso: 24 ore e 11 minuti circa, sia nei giovani che negli anziani. Una scoperta che ridimensiona vecchie convinzioni e aiuta a capire meglio perché, con l’età, il sonno tende a disturbarsi - Winterover at Concordia Station, Interior Antarctica, as an Analog for Spaceflight-Associated Immune Dysregulation
Sulla base di dati preliminari, durante l’inverno antartico alla stazione Concordia sembrano persistere alterazioni nella distribuzione e nella funzione delle cellule immunitarie. Alcuni di questi cambiamenti sono simili a quelli osservati negli astronauti, sia durante che subito dopo le missioni spaziali. Altri invece risultano specifici dell’analogo Concordia. Considerando i primi dati immunologici e le condizioni ambientali, il “winterover” a Concordia può essere considerato un modello appropriato per alcuni cambiamenti immunitari associati al volo spaziale
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