
Negli anni in cui ho lavorato al progetto “Gaudium et Spes, Częstochowa. Media, Cultura & Società”, mi è stato sempre più chiaro quanto fosse necessario uscire da un’idea museale del sacro, per restituirlo alla contemporaneità come linguaggio vivo, attraversabile, condivisibile. Niente più spiritualità in cornice, né arte cristiana chiusa nel recinto dell’archeologia religiosa.
L’obiettivo era (ed è) promuovere valori culturali e spirituali nella società dell’informazione, con strumenti capaci di generare relazione: creatività, tecnologia, esperienza immersiva, memoria collettiva.
A ispirarmi fin dall’inizio è stata proprio Gaudium et Spes, la costituzione pastorale più lungimirante e attuale del Concilio Vaticano II.
Un testo che, pur scritto nel 1965, ha parlato con forza al nostro tempo, e che ho sentito non come documento da citare, ma come fonte di visione per un progetto culturale in dialogo con il presente e orientato al futuro.
In fondo, questa è la sfida che sento ancora urgente: come parlare oggi di spiritualità ai giovani, che si muovono in un ecosistema mediatico che raramente dialoga con la trascendenza? Come fare della fede qualcosa che non sa di istruzione religiosa, ma di esperienza trasformativa e personale? Questo articolo nasce come riflessione a posteriori su quel percorso progettuale, ma anche come contributo vivo per chi continua a credere che il linguaggio della spiritualità non debba essere difeso, ma riformulato, incarnato, restituito alla realtà quotidiana. E che in Gaudium et Spes possiamo ancora trovare una mappa per ripensare tutto questo con e per le nuove generazioni.
Gaudium et Spes, per ripensare la Spiritualità con e per le nuove generazioni
“Gaudium et Spes” è tra i documenti più visionari mai prodotti dalla Chiesa cattolica.
Promulgata nel 1965 da Paolo VI, si apre con una formula che rompe ogni barriera tra sacro e profano:
“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi […] sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo.”
Un’affermazione dirompente, che potrebbe ancora oggi disorientare chi concepisce la spiritualità come esercizio verticale e separato dalla storia. Il messaggio, invece, è chiarissimo: la fede non si annuncia da un pulpito, ma si abita nel mondo, in dialogo con la realtà concreta delle persone.
E proprio da qui nasce la questione centrale: come tornare a parlare di spiritualità alle nuove generazioni senza ridurla a mero ritualismo o nostalgia?
Gaudium et Spes non menziona direttamente i giovani, ma li attraversa in filigrana: parlando dell’uomo nella sua totalità – corporeo e spirituale, libero e sociale- riconosce che il mondo sta cambiando, e che la Chiesa è chiamata a cambiare con lui, non nella dottrina, ma nell’ascolto e nel linguaggio.
In questa cornice, è inevitabile considerare i giovani non oggetti da evangelizzare, ma soggetti attivi, portatori di domande vitali, linguaggi nuovi, e una fame di autenticità spesso disattesa. È la stessa visione che Papa Francesco ha ripreso in Evangelii Gaudium e Christus Vivit, chiedendo che siano coinvolti come protagonisti.
I numeri 53-62 del documento conciliare toccano un nodo fondamentale per l’oggi: la trasformazione culturale e l’emergere di nuovi paradigmi.
La Chiesa è invitata a dialogare, non a difendersi.
Non si tratta di adottare i linguaggi digitali per “stare al passo coi tempi”, ma di riconoscere che questi linguaggi sono già l’ambiente in cui vivono le nuove generazioni.
Ed è da lì che bisogna ripartire: relazioni, esperienze, simboli, reti.
Il Vangelo, per essere davvero vivo, va tradotto (anche) nel codice espressivo del presente.
Una riflessione importante viene anche dal numero 16: l’uomo scopre nella propria coscienza una legge che non si è dato da sé. Questo è un punto chiave per ogni percorso spirituale credibile: non si tratta di imporre la fede, ma di proporla come cammino di libertà, autenticità e discernimento.
I giovani reagiscono a tutto ciò che puzza di autorità cieca o dogmatismo, ma sono affamati di verità, di senso, di coerenza vissuta. Quando incontrano testimoni credibili, e non solo annunciatori professionisti, sanno riconoscere la spiritualità come possibilità esistenziale concreta.
Ecco perché Gaudium et Spes non è un documento da archiviare.
Pur elaborata oltre mezzo secolo fa, sembrava già prevedere le trasformazioni che oggi interpellano profondamente la Chiesa del XXI secolo.
È una chiave attualissima, più vicina al pensiero dei giovani di quanto molti adulti immaginino.
Non perché ne adotti il linguaggio, ma perché ne riconosce le inquietudini, la fame di senso, la fragilità di fronte a un mondo ipercomplesso e polarizzato, e le assume come punto di partenza.
In un tempo segnato dalla crisi dei legami, dall’iperconnessione che non consola e da un individualismo anestetizzante, la spiritualità proposta da Gaudium et Spes – incarnata, dialogica, profonda – può tornare a essere non una fuga dal mondo, ma uno strumento per comprenderlo e trasformarlo.
Questa è la sfida: non convincere i giovani a credere, ma mostrare loro che credere può ancora voler dire abitare il mondo con coscienza e amore, senza perdersi nella superficialità o nel cinismo.
Una lettura laica della pastorale Gaudium et Spes
Vivere in armonia e amore comunitario. Se ci allontaniamo per un momento dal vocabolario strettamente religioso, possiamo interpretare la pastorale come un cammino di accompagnamento umano e culturale, non diverso, nella sostanza, da ciò che molte filosofie civili, etiche sociali o pedagogie inclusive cercano da sempre: educare all’armonia interiore e alla relazione comunitaria. Nel contesto di Gaudium et Spes, questo significa riscoprire una spiritualità che non impone verità, ma che invita a interrogarsi, a riconoscere la dignità dell’altro, a coltivare una visione del mondo fondata su empatia, responsabilità e coesione sociale.
È un messaggio che può parlare anche fuori dai confini della fede: vivere bene non è mai solo un fatto individuale, ma richiede relazioni giuste, dialogo aperto, e il desiderio di contribuire al bene comune. La pastorale, in questa luce, può diventare una proposta culturale condivisibile, capace di ispirare anche chi non si riconosce in una religione ma cerca senso, comunità e futuro.
Se la Chiesa saprà rileggerla con sincerità, Gaudium et Spes potrebbe non solo parlare ai giovani, ma parlare insieme a loro.
Una Chiesa “in uscita”, come la sognava Papa Francesco, nasce proprio da questo spirito: non autoreferenziale, ma prossima. Non chiusa nei dogmi, ma aperta alle domande. Non fissata su sé stessa, ma in cammino con il mondo.
In definitiva, chi cerca un riferimento per rimettere in dialogo spiritualità e nuove generazioni, deve partire da qui: non dall’ansia di riportare i giovani “in Chiesa”, ma dal coraggio di portare la Chiesa là dove vivono i giovani: nella loro cultura, nelle loro fragilità, nei loro spazi digitali, nel loro bisogno di futuro (sostenibile)
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