L’acqua noetica – Memoria, cura e crisi di percezione
Negli episodi precedenti abbiamo seguito un filo abbastanza netto.
Con Antonella De Ninno l’acqua è uscita dal ruolo di liquido “semplice” ed è diventata un sistema bifasico, sospesa tra ordine e disordine.
Con Giuseppe Vitiello l’abbiamo incontrata dentro il corpo, come ambiente vivente che potrebbe risuonare con farmaci e campi.
Con Roberto Germano si è fatta elettrica: gocce d’acqua che, in certe condizioni, generano una piccola corrente dove i manuali prevedono solo silenzio conduttivo.
In questo Episodio IV il documentario attraversa una soglia più scivolosa: compaiono parole come “memoria dell’acqua”, “farmaci in frequenza”, “informazione senza molecole”. Qui la fisica di frontiera si mescola con il desiderio di cura, e il rischio di confondere i piani è altissimo.È il punto esatto in cui la noetica, lo sguardo su come le nostre personali coscienze costruiscono significato, diventa indispensabile.
Non basta più chiedersi cosa fa l’acqua; bisogna chiedersi anche che cosa immaginiamo noi con le storie che raccontiamo su di lei
Dalle cascate alle nuvole. La scienza inizia ad immaginare
Il ricercatore Pierre Madl che studia gli aerosol vicino alle cascate alpine, racconta di come misurando la distribuzione delle particelle lungo il percorso del getto nebulizzato abbia trovato qualcosa che non torna con il quadro classico: le strutture nanometriche più piccole scompaiono rapidamente allontanandosi dalla cascata, come previsto; ma un certo picco, una famiglia di dimensioni intorno a qualche centinaio di nanometri, resta ostinatamente presente lungo tutto il tragitto, come se fosse “inchiodato” nello spazio.
Quando porta questi dati a Emilio Del Giudice, la risposta non è solo tecnica, è anche immaginativa. Del Giudice suggerisce che quel comportamento potrebbe essere compatibile con l’idea di domìni di coerenza che riescono a tenersi insieme nello spazio, quasi come piccole nuvole stabili che non si disperdono subito come il fumo di un camino. L’immagine della nuvola torna più volte: una struttura che resta sospesa, che conserva una forma invece di dissolversi nel caos delle particelle.
Da qui nasce l’idea di una crisi di percezione. Siamo ancora educati a pensare la materia come un insieme di palline: atomi, molecole, granuli che si urtano. Quello che non vediamo, dice il ricercatore, sono i legami invisibili: i campi dinamici che tengono insieme quelle particelle, i processi di condensazione che fanno emergere strutture più grandi, le transizioni continue da una forma all’altra. È in questo contesto che Del Giudice arriva a dire che la fisica, se vuole davvero capire la vita, deve smettere di guardare solo ai mattoni e cominciare a vedere i campi di relazione.
È qui che la fisica sfiora la noetica: la crisi non riguarda solo i modelli matematici, ma il modo in cui la nostra mente è abituata a vedere il reale.
La “Memoria dell’acqua”
Sebbene la “memoria” sia è un termine nato per altro, a questo punto entra in scena il medico Massimo Citro che lavora con terapie non convenzionali e parla di trasferimento farmacologico-frequenziale. La prima cosa che fa è quasi una confessione: “memoria dell’acqua” è un termine improprio, nato più per la stampa che per la scienza. Ricorda la stagione, dura e polemica, seguita all’articolo di Jacques Benveniste su Nature alla fine degli anni Ottanta e al famoso titolo di giornale che parlava appunto di mémoire de l’eau.
In quel contesto l’idea, semplificata all’estremo, era che soluzioni così diluite da non contenere praticamente più nessuna molecola del principio attivo sembrassero comunque produrre effetti su preparati biologici. La comunità scientifica non riuscì a riprodurre quei risultati in modo robusto e, dopo un periodo di conflitto acceso, l’ipotesi venne respinta. Il termine, però, era uscito dai laboratori e si era installato nell’immaginario collettivo: l’acqua “che ricorda” qualsiasi cosa abbia toccato.
Il medico del documentario prova a riformulare. Non dice che l’acqua pensa o conserva ricordi come un cervello; suggerisce piuttosto che la sua struttura possa essere modificata in modo da conservare per un certo tempo tracce di un’informazione ricevuta. Parla di onde coerenti, di segnali ordinati che si distinguono dal rumore di fondo, di configurazioni che durano più a lungo di quanto ci aspetteremmo da un liquido “banale”.
Qui la fisica e l’immaginario cominciano a incrociarsi in modo pericolosamente stretto: le parole della quantistica – la coerenza, gli stati, i campi – vengono affiancate a quelle della cura a partire dalla memoria con rimedio, guarigione, fino a diventare quasi indistinguibili.
Farmaci in frequenza
La parte più forte del suo racconto riguarda ciò che chiama farmaci in frequenza. Secondo la sua esperienza, sarebbe possibile registrare l’“impronta” elettromagnetica di un farmaco, trasferirla attraverso circuiti e strumenti dedicati, e infine caricarla in un flacone d’acqua. In altre parole: l’acqua diventerebbe portatrice di una informazione farmacologica, senza contenere alcuna molecola del principio attivo.
Nella sua visione questo aprirebbe una strada affascinante: somministrare l’azione di un farmaco senza la sostanza chimica, riducendo drasticamente la tossicità e gli effetti collaterali.
racconta che in alcuni casi i risultati sembrano persino migliori del farmaco tradizionale, in altri no; insiste sul fatto che la ricerca è ancora in corso, che non si tratta di una bacchetta magica, ma di una possibile “piccola rivoluzione” per il futuro.
Per il Decimo Uomo, qui, le antenne si alzano subito. Non solo per fiutare il rischio di una scorciatoia teorica, ma anche per intercettare eventuali connessioni invisibili che meritano di essere esplorate con metodo. Da un lato è del tutto plausibile che un campo elettromagnetico influenzi l’organizzazione dell’acqua: lo sappiamo dalla fisica, lo vediamo negli esperimenti su domini coerenti, interfacce idrofile, celle ossidroelettriche. Dall’altro, fare il salto da una variazione strutturale dell’acqua a un equivalente terapeutico di un farmaco è un passaggio enorme, che richiede una quantità di prove cliniche robuste, indipendenti, controllate, che oggi semplicemente non abbiamo.
Qui non basta il rigore scientifico; serve anche lo sguardo noetico: la capacità di vedere quanto il nostro desiderio di una cura più dolce, meno tossica, più “naturale”, possa colorare la percezione dei risultati, trasformare coincidenze in conferme, spingere a vedere pattern dove ci sono solo fluttuazioni statistiche. Se non lo teniamo presente, rischiamo di leggere l’acqua non per quello che fa, ma per quello che speriamo ci faccia.
Aquaphotomics e l’acqua sensore
Un altro passaggio della trascrizione introduce il lavoro della ricercatrice Roumiana Tsenkova che si occupa di Aquaphotomics.
Qui lo scenario è diverso. Si studia come l’acqua assorbe la luce, in particolare nell’infrarosso vicino, per ricavare informazioni sullo stato di organismi e ambienti. L’idea è trattare l’acqua come un sensore indiretto: analizzando lo spettro di assorbimento in un campione biologico, si cercano indizi sulle condizioni interne dell’animale, della pianta, della persona.
Siamo più vicini alle tecniche di spettroscopia NIR applicate all’agroalimentare e alla medicina preventiva che al mondo delle “memorie miracolose” citate più sopra.
L’ambizione è nel costruire mappe di risposta dell’acqua associate a certi stati fisiologici, in modo da poter riconoscere precocemente anomalie, squilibri, rischi.
Anche qui, però, il confine è delicato. Da una parte c’è un duro lavoro di laboratorio, algoritmi di analisi, campioni, margini di errore; dall’altra incombe sempre la tentazione di trasformare ogni variazione di spettro in una diagnosi certa, ogni correlazione in causalità. È un terreno in cui la prudenza scientifica e la responsabilità etica camminano insieme.
Tre piani sovrapposti: fisica, cura e noetica
Guardando questo tratto del documentario con lo sguardo del Decimo Uomo, mi sembra di vedere tre piani sovrapposti.
Il primo è quello della fisica dell’acqua: domini coerenti, interfacce idrofile, risposta alla radiazione, effetti ossidroelettrici. Qui ci sono fenomeni reali, misurabili, anche se ancora non del tutto compresi.
Il secondo è quello delle interpretazioni biologiche: come queste proprietà possano entrare nei processi di comunicazione cellulare, nella risposta ai farmaci, nella sensibilità ai campi. È il territorio delle ipotesi, dei modelli da testare, dei ponti da costruire tra fisica e fisiologia.
Il terzo è quello della promessa terapeutica: l’acqua che guarisce senza molecole, le frequenze che sostituiscono i farmaci, le diagnosi veloci e indolori basate su uno spettro di assorbimento.
La noetica entra esattamente qui: non come decorazione filosofica, ma come pratica di consapevolezza che ci aiuta a non confondere questi livelli. Ci chiede di vedere non solo i dati, ma anche il modo in cui li carichiamo di senso, di desiderio, di paura.
Ci ricorda che un fenomeno fisico interessante non diventa automaticamente una cura;
che una correlazione statistica non è una prova;
che una storia ben raccontata può convincere la mente molto prima che i numeri abbiano avuto il tempo di essere verificati.
Lo sguardo noetico è, in questo contesto, una forma di igiene della coscienza: non spegne la curiosità, non chiude la porta alle possibilità ( “mai dire mai”) , ma impedisce che il vuoto tra ciò che sappiamo e ciò che vorremmo venga riempito troppo in fretta da ciò che ci fa sentire meglio.
La parola “noetico” non nasce in questo articolo. Entra nel lessico internazionale lungo due traiettorie che si incrociano: da un lato l’Institute of Noetic Sciences (IONS), fondato negli Stati Uniti dall’astronauta Edgar Mitchell dopo l’esperienza di Apollo 14 per esplorare il rapporto fra coscienza, esperienza interiore e realtà; dall’altro la linea di ricerca più sperimentale di Princeton, con il laboratorio Princeton Engineering Anomalies Research (PEAR) e, in seguito, il Global Consciousness Project, che hanno tentato di misurare in modo quantitativo l’eventuale influenza della coscienza su sistemi fisici e su reti di generatori casuali.
Dopo la chiusura del laboratorio a Princeton, l’eredità del PEAR è stata raccolta dall’International Consciousness Research Laboratories (ICRL), che oggi conserva dati, materiali e continua a promuovere progetti sulla possibile interazione mente–materia.
Si tratta di percorsi di frontiera, spesso controversi e non sempre accettati dalla comunità scientifica più tradizionale. In questa serie uso il termine noetica in modo più sobrio e operativo: non per certificare l’esistenza di fenomeni straordinari, ma per indicare lo sguardo con cui proviamo a capire che cosa facciamo noi con le storie che raccontiamo sull’acqua, sulla cura e sulla scienza. È una noetica della consapevolezza: meno “paranormale”, più attenta a come la coscienza interpreta, colora e talvolta distorce i dati.
Chiudo il documentario, ma non mi precludo le domande
Con questo Episodio IV chiudo la mia personale recensione ragionata del documentario “L’acqua e le frequenze della vita”. Abbiamo attraversato un’acqua che sfida i modelli classici, un’acqua che abita il corpo e forse partecipa attivamente alla nostra fisiologia, un’acqua che in certe condizioni può comportarsi come una piccola sorgente di corrente, un’acqua infine caricata di speranze terapeutiche, memorie, frequenze.
Non considero questo percorso una verità sull’acqua. È, più semplicemente, un esercizio di sguardo noetico: tenere insieme i dati, le teorie e l’immaginario senza fonderli in un blocco indistinto. La fisica ci dice fino a dove possiamo spingerci con le affermazioni; la noetica ci aiuta a vedere che cosa aggiungiamo noi, con le nostre paure e i nostri desideri, su quella base.
Gli episodi successivi non seguiranno necessariamente questo documentario. Potranno nascere da altri studi, altri incontri, altre anomalie. Ma il metodo resterà lo stesso: raccontare in modo umano, appoggiarsi alle basi scientifiche più solide disponibili e usare il dubbio non per demolire, ma per tenere aperto lo spazio in cui la realtà, lentamente, si lascia conoscere. E, forse, per imparare a rispettare un po’ di più anche ciò che, dell’acqua e di noi stessi, non sappiamo ancora spiegare.
L’ispirazione per questa nuova riflessione mi è arrivata ascoltando il racconto del fisico della materia Roberto Germano nel documentario “L’acqua e le frequenze della vita”, trasmesso su Prime Video.
Questo articolo fa parte della serie “L’acqua, la memoria e il reale”: Episodio 0 – Le sorgenti dimenticate di Santa Lucia ; Episodio I – L’acqua che non sappiamo ancora spiegare ; Episodio II – L’acqua vivente ; Episodio III – L’acqua elettrica: quando una goccia diventa sorgente di energia. – Episodio IV -Noetica dell’Acqua
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