Nell’Episodio 0, alle sorgenti dimenticate di Santa Lucia, l’acqua era una protagonista silenziosa: scorreva nel tufo del Monte Echia, veniva intercettata dal potere, nascosta dietro i portoni e poi riscoperta come livello nascosto del “metaverso reale” di Napoli.
In questo Episodio I facciamo un passo di lato: mettiamo per un attimo da parte la storia urbana e ci chiediamo una cosa molto più spiazzante.
Com’è possibile che, nel 2025, per la fisica non esista ancora una teoria completa e condivisa dell’acqua? Perché, al di là della formula H₂O, questo liquido che beviamo ogni giorno continua a sfuggire a una descrizione definitiva, tanto da costringerci a usare modelli parziali e, a volte, tra loro incompatibili?
È da qui che iniziamo a parlare di acqua a due fluidi, domini ordinati, flickering cluster e di quella tentazione pericolosa ma irresistibile che chiamiamo “memoria dell’acqua”.
Siamo abituati a pensare che l’acqua sia la cosa più semplice del mondo: H₂O, due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, fine della storia.
In realtà, per la fisica è quasi un imbarazzo: non esiste ancora una teoria completa e condivisa che descriva davvero il comportamento dell’acqua. Abbiamo molti modelli che spiegano ex post ciò che osserviamo, ma nessuna teoria che consenta di prevedere come l’acqua si comporterà in tutte le condizioni possibili.
Negli anni ’50–’60 alcuni biologi arrivano a dire che l’acqua non è un fluido “uniforme”, ma un sistema a due fluidi: uno più denso, uno meno denso che avvolge cellule e macromolecole, fondamentale per far funzionare le proteine e la vita stessa. Lo chiamano flickering cluster water: insiemi che si formano e si dissolvono in continuazione.
Decenni dopo, la scuola italiana di Giuliano Preparata ed Emilio Del Giudice propone un’idea ancora più radicale: nell’acqua convivono domini ordinati e molecole disordinate, in una compenetrazione di due “fluidi” le cui proporzioni dipendono non solo da pressione e temperatura, ma anche da soluti, superfici, campi magnetici e altri fattori ambientali.
Da qui nasce una domanda che inquieta e affascina: se l’acqua cambia così facilmente in risposta a ciò che la circonda, quanto “ricorda” dei contatti che ha avuto?
E che tipo di informazioni può veicolare?
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L’acqua, l’elemento banale che imbarazza la fisica
Proviamo a partire da una scena mentale molto semplice: un bicchiere d’acqua.
Lo guardiamo con la sicurezza di chi ha imparato a scuola la formula magica: H₂O.
È così ovvia che ci sembra quasi “neutra”: trasparente, incolore, senza storia.
E invece no.
Dal punto di vista chimico sappiamo perfettamente che cos’è una molecola d’acqua, lo sappiamo dai tempi di Lavoisier: un atomo di ossigeno e due di idrogeno. Ma dal punto di vista fisico, cioè quando chiediamo come queste molecole stiano insieme, come si organizzino, come cambino in presenza di altre sostanze, non abbiamo ancora una teoria completa dell’acqua. Esistono molti modelli, nessuna teoria condivisa che permetta di prevederne in modo sistematico il comportamento.
La distinzione sembra sottile ma è decisiva:
- un modello spiega dopo quello che abbiamo osservato (ex post);
- una teoria permette di prevedere ciò che accadrà prima di osservare, se mettiamo il sistema in una certa condizione.
Con l’acqua, per ora, siamo ancora prigionieri soprattutto dei modelli.
Quando i biologi “rompono” l’immagine dell’acqua semplice
A metà Novecento succede qualcosa di interessante. Alcuni biologi, osservando il comportamento dell’acqua nei sistemi viventi, propongono un’ipotesi che ai fisici proprio non va giù.
Nel tentativo di spiegare ciò che vedono, dicono in sostanza:
“Per noi l’acqua non è un fluido uniforme.
È fatta da due fluidi di natura diversa:
– un fluido più denso;
– un fluido meno denso che avvolge le molecole, circonda le cellule e le macromolecole, fa da guaina ed è cruciale nella trasmissione dei segnali biologici.”
In questa prospettiva:
- le proteine, che sono alla base della biologia di tutti gli esseri viventi, acquistano la loro forma solo se immerse in una quantità minima di acqua;
- senza acqua non c’è forma, e senza forma non c’è funzione: quindi niente acqua, niente vita.
Questo modello viene chiamato flickering cluster water: un’acqua fatta di insiemi (cluster) che si “accendono e spengono”, si formano e si dissolvono, non ben localizzati, qualcosa di instabile e sfuggente. Molto utile per i biologi degli anni ’60, ma per i fisici di allora è troppo vago, troppo poco “solido” per diventare teoria.
E così il modello resta in sospeso: interessante, ma non pienamente digerito dal pensiero fisico dominante.
Preparata, Del Giudice e l’acqua come sistema a due “fluidi”
A riaprire il gioco sono due fisici italiani: Giuliano Preparata ed Emilio Del Giudice.
Lavorando nell’ambito dell’elettrodinamica quantistica, propongono una vista dell’acqua che, in qualche modo, dialoga con l’intuizione dei biologi ma la porta su un terreno teorico più strutturato.
L’idea chiave:
nell’acqua coesistono due diverse tipologie di aggregati molecolari:
- domini di molecole ben coordinate e ordinate tra loro;
- molecole disordinate, singole o solo debolmente correlate.
In altre parole, l’acqua appare come una compenetratione di due “fluidi” presenti simultaneamente, con proporzioni che possono cambiare.
Ed è qui che la faccenda si fa davvero intrigante:
queste proporzioni non dipendono solo dai classici parametri termodinamici (pressione e temperatura), ma anche:
- dalla tipologia e quantità di soluti disciolti;
- dal contatto con le pareti del recipiente;
- dalla presenza di campi magnetici;
- da una serie potenzialmente infinita di fattori ambientali.
Tradotto: l’acqua è molto meno banale di come siamo abituati a immaginarla.
Può essere modificata in modo significativo da condizioni che per lungo tempo sono state considerate irrilevanti.
Acque chimicamente identiche, fisicamente diverse
Se accettiamo questa visione, succede una cosa sorprendente:
due acque chimicamente identiche (stessa formula, stessi soluti, stessa “ricetta”) possono essere fisicamente diverse, perché diverso è il rapporto tra la componente ordinata e quella non ordinata.
Ed è proprio osservando questo rapporto che possiamo:
- dedurre molte informazioni sulle sostanze con cui l’acqua è stata in contatto;
- ricostruire una parte della storia delle sue interazioni chimiche e fisiche.
Da qui nasce la tentazione di parlare di “memoria dell’acqua”.
Ma è una tentazione che va maneggiata con molta cura.
L’acqua non è un registratore. E’ una strada
Nella versione raccontata nell’audio, arriva un chiarimento molto netto:
- l’acqua non registra un messaggio, non è un nastro magnetico o un hard disk;
- piuttosto, predispone la strada lungo cui i messaggi (le interazioni) possono viaggiare.
L’immagine è potente: l’acqua è come una rete di strade.
Non conserva ciò che passa, ma rende possibile che qualcosa:
- parta da un punto A,
- arrivi a un punto B,
- e lo faccia grazie a un certo “tracciato” che, proprio perché esiste, orienta il percorso.
Altra conseguenza importante: non tutta l’acqua è uguale neppure dentro il corpo.
- L’acqua vicino alle cellule ha una funzione specifica, diversa da
- quella extracellulare: hanno caratteristiche differenti e ruoli differenti nei processi biologici.
Questo rende l’acqua un oggetto scientificamente intrigante e umanamente affascinante: guardando l’acqua, possiamo in parte ricostruire lo stato delle sostanze che la circondano e le interazioni, anche di bassa intensità, che ha mediato.
Verso il prossimo episodio
In questo Episodio I ci siamo fermati su un punto cruciale: l’acqua non è il liquido neutro, passivo e “semplice” che immaginiamo nei manuali scolastici.
È un sistema dinamico che risponde in modo sensibile al contesto, capace di veicolare messaggi senza necessariamente “registrarli”.
Nel prossimo episodio potremo spingerci insieme alla fisica, anche un po’ oltre:
- chiedendoci che cosa succede quando questa sensibilità estrema dell’acqua viene interpretata in chiave simbolica, noetica o addirittura “spirituale”;
- provando a distinguere, con calma, ciò che oggi sappiamo dalla scienza, da ciò che è ancora ipotesi, immaginario, metafora.
Perché è proprio lì, tra rigore scientifico e bisogno di senso, che l’acqua torna a essere ciò che è sempre stata nella storia umana: non solo una sostanza, ma un linguaggio.
L’ispirazione per questa riflessione mi è arrivata ascoltando la spiegazione della dott.ssa Antonella De Ninno (ENEA) nel documentario “L’acqua e le frequenze della vita”, trasmesso su Prime Video.
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