La Storia dell’Ombra che cambia bandiera
Le operazioni false flag non sono complotti hollywoodiani: sono tecniche di inganno per attribuire a un altro attore un’azione (o un crimine) così da giustificare ritorsioni, ottenere consenso, cambiare l’agenda.
Come funzionano (in 3 mosse)
- Messa in scena o sfruttamento di un evento ambiguo.
- Attribuzione rapida a un nemico (con “indizi” selezionati).
- Uso politico-mediatico dell’evento come pretesto (escalation, leggi speciali, interventi).
Perché “funzionano”
- sfruttano la sete di causalità (serve un colpevole subito);
- attivano bias cognitivi (halo effect, conferma, disponibilità);
- operano nelle zone grigie dell’informazione (rumore, tempi stretti, fonti opache).
Dal veliero al drone
Dal corsaro che cambiava bandiera, alle operazioni coperte del Novecento, fino alle info-ops e cyber-ops attuali: oggi deepfake, botnet e “leak” pilotati amplificano l’ambiguità in ore, non anni.
Igiene cognitiva minima
- Separa evento e attribuzione: cosa è certo adesso?
- Cerca fonti indipendenti e una timeline verificabile.
- Diffida dei dettagli perfetti nelle prime 24–48 ore.
- Chiediti cui prodest (vantaggi immediati per chi?).
- Archivia smentite e correzioni: spesso arrivano tardi.
Idea chiave: un false flag non vince per la sua perfezione operativa, ma per la nostra fretta di credergli. Il vero campo di battaglia è la percezione.
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Immagina un veliero nel mare del XVII secolo. La prua taglia le onde, sulla cima dell’albero maestro sventola la bandiera di una nazione neutrale. La nave mercantile all’orizzonte non sospetta nulla. Quando la distanza si riduce e la fuga è impossibile, la bandiera viene ammainata e sostituita con quella vera: quella del corsaro che sta per abbordare.
Questa pratica era comune nelle guerre di corsa: capitani come Sir Francis Drake, al servizio di Elisabetta I d’Inghilterra, ne fecero un’arte. Drake, considerato pirata dai nemici spagnoli e eroe nazionale in patria, usava spesso stratagemmi di inganno navale, incluso l’issare bandiere di nazioni neutrali per avvicinarsi alle navi nemiche e poi rivelare la propria identità solo al momento dell’attacco.
Era un comportamento previsto dal diritto marittimo dell’epoca: l’inganno era lecito finché la vera bandiera veniva mostrata prima di aprire il fuoco.
Da qui nasce il termine false flag, “falsa bandiera”: uno stratagemma antico che oggi ha assunto un significato più sofisticato e inquietante. Non riguarda più soltanto i mari e i corsari, ma operazioni segrete moderne che fanno sembrare un’azione opera di qualcun altro, per manipolare la percezione dei fatti, giustificare guerre o screditare un nemico.
Dai mari alla geopolitica
Il passaggio dalla marina militare alla politica internazionale è stato naturale: se posso ingannare il mio avversario in mare, perché non farlo su scala più grande, coinvolgendo intere opinioni pubbliche?
La storia è piena di esempi:
- Gleiwitz, 1939.
Un’unità delle SS inscena un attacco a una stazione radio tedesca al confine con la Polonia. I cadaveri di prigionieri polacchi (travestiti da “sabotatori”) vengono lasciati come prova. Hitler il giorno dopo annuncia l’invasione: “Siamo stati attaccati!”
È l’inizio della Seconda Guerra Mondiale. - Mainila, 1939.
L’Armata Rossa denuncia un bombardamento finlandese che avrebbe ucciso sette soldati sovietici. Documenti declassificati dimostrano che furono i sovietici stessi a sparare, creando il pretesto per la Guerra d’Inverno. - Operazione Northwoods, 1962.
I vertici militari USA proposero di inscenare attentati e dirottamenti attribuendoli a Cuba, per spingere l’opinione pubblica a sostenere un intervento armato. Kennedy respinse il piano, ma i documenti, oggi pubblici, mostrano quanto fosse concreto il progetto.
La narrazione come arma
In tutti questi casi, la chiave non è l’azione in sé, ma il racconto che la segue.
Un false flag funziona solo se convince: se produce un effetto emotivo abbastanza forte da trasformare la rabbia in azione politica o militare.
Non basta sparare un colpo di cannone: serve una storia che lo renda credibile, serve un nemico su cui riversare l’indignazione.
False Flag nell’era digitale e della guerra elettronica
Oggi le “bandiere false” non sventolano più sugli alberi delle navi. Si muovono nelle fibre ottiche, nei feed social, nei log dei server — e perfino nello spettro elettromagnetico.
La guerra elettronica (EW- electronic warfare) ha reso il false flag più sofisticato e più difficile da smascherare:
- Ingannare i radar
simulando firme elettroniche di un altro esercito. - Alterare il GPS (spoofing)
per far sembrare che un missile sia stato lanciato da un altro Paese. - Confondere le comunicazioni
(jamming) così che restino solo le “tracce” volute dall’attaccante. - Creare firme digitali false
per attribuire cyberattacchi ad altri gruppi.
Caso di studio 1
False Flag con Droni
In un’area di tensione, un gruppo di droni armati attacca un deposito di carburante strategico. Le telecamere riprendono l’esplosione e le immagini diventano virali. I radar sembrano indicare che i droni sono partiti dal Paese B. Il Paese A reagisce con una rappresaglia.
Settimane dopo, analisti indipendenti dimostrano che:
- I droni erano commerciali, modificati per imitare il profilo radar di un modello militare di B.
- La rotta GPS era stata falsificata.
- I video iniziali provenivano da account fake creati poche ore prima.
L’obiettivo era innescare un’escalation diplomatica e trascinare due Paesi in conflitto.
Caso di studio 2
Cracking del Sistema di Controllo (C2)
Un attore sconosciuto sfrutta una vulnerabilità zero-day per entrare nel sistema di comando e controllo di droni militari del Paese B.
- Dirottamento
i droni vengono fatti decollare da una base legittima e diretti contro infrastrutture civili di A. - Manipolazione dei log
le tracce digitali indicano che l’attacco è “autentico”, partito da B. - Restituzione del controllo
gli hacker spariscono, lasciando un Paese inconsapevole con prove schiaccianti contro di sé.
Solo un’indagine forense a posteriori dimostra che il comando era stato iniettato dall’esterno. Ma la crisi diplomatica è già esplosa.
Guerra Ibrida.
Perché i Droni e i Sistemi C2 sono ideali per un false flag
| Vantaggio per l’attaccante | Effetto |
| Bassa tracciabilità | Droni commerciali sono facili da reperire e modificare. |
| Firme manipolabili | Profili radar e rotte GPS possono essere falsificati. |
| Tempo di reazione ridotto | La narrativa mediatica corre più veloce delle indagini forensi. |
| Alto impatto politico | Un attacco mirato può provocare escalation internazionale. |
Difese possibili
- Autenticazione crittografica delle comunicazioni C2
per evitare injection di comandi. - Monitoraggio continuo dell’integrità del software
(firmware signing). - Air-gapping o reti isolate
per i sistemi critici. - Team di risposta rapida
con capacità di analisi forense immediata per separare fatti da percezioni. - Strategie di comunicazione pubblica
per evitare reazioni premature prima delle verifiche.
Queste misure, oggi discusse anche in ambito civile e dual use, sono parte del lavoro di innovazione in progetti come DRONEX4, che studia l’impiego di droni per protezione civile e monitoraggio del territorio, dimostrando come la stessa tecnologia possa essere strumento di pace e prevenzione invece che di guerra.
Perché parlarne oggi
Capire cos’è un false flag significa riconoscere che la guerra, e più in generale il potere, non è fatta solo di carri armati e trattati, ma di narrazioni.
Ogni volta che un evento drammatico diventa il pretesto per una decisione importante (una guerra, una legge d’emergenza, una restrizione delle libertà), vale la pena porsi la domanda: chi ha interesse che io creda a questa versione dei fatti?
Non è paranoia: è esercizio di cittadinanza critica.
La storia ci mostra che le “bandiere false” esistono. Ma ci invita anche a non vedere complotti ovunque.
L’equilibrio sta qui: non accettare tutto sulla fiducia, ma nemmeno negare l’evidenza per principio.
La cassetta degli attrezzi cognitivi
Per leggere le notizie e difendersi dalla manipolazione
Perché serve:
Oggi le guerre non si combattono solo con le armi, ma anche con le parole, le immagini e i post sui social. Imparare a leggere le notizie con metodo ci aiuta a non cadere in trappole narrative, fake news o provocazioni costruite per spingerci a reagire d’istinto.
| Passo | Domanda da farsi | Perché è importante |
| 1. Chi parla? | La fonte è affidabile? È ufficiale, giornalistica, anonima? | Capire se chi comunica ha autorità o un interesse nascosto. |
| 2. Quali parole usa? | Ci sono parole nuove, slogan emotivi, frasi che sembrano voler spaventare o indignare? | Il linguaggio emotivo è spesso usato per spingerci a reagire di pancia. |
| 3. Chi altro lo dice? | La notizia è confermata da altre fonti indipendenti? | Più fonti diverse la riportano, più è probabile che sia reale. |
| 4. È coerente con i fatti? | I dati, le immagini, i video coincidono con ciò che già sappiamo? | Verifica se ci sono contraddizioni o omissioni. |
| 5. Ci sono altre spiegazioni? | Potrebbe esserci un’altra versione dei fatti? | Mantiene la mente aperta e riduce il rischio di essere manipolati. |
| 6. Quanto sono sicuro? | Sono pronto a condividere o agire su questa informazione? | Dichiarare a sé stessi il livello di certezza prima di diffondere. |
Trappole da evitare, nella tana del coniglio
- Reagire a caldo
le emozioni forti possono farci credere a tutto. - Attribuire colpe subito
chiedersi sempre “chi ha interesse a farmelo credere?”. - Fidarsi del primo video virale
controllare data, fonte e contesto prima di condividerlo. - Ignorare il tempismo
notizie che arrivano “al momento giusto” potrebbero essere coordinate. - Basarsi su una sola voce
confrontare con altre fonti, anche straniere. - Dare per certo ciò che non lo è
mantenere il dubbio finché non arrivano conferme solide.
Perché è importante
Leggere in modo critico significa proteggere:
- La propria mente
evitando di diventare strumento di propaganda. - La comunità:
condividendo solo ciò che è verificato. - La democrazia
perché opinioni e scelte politiche si formano sulle narrazioni che circolano.
La vera sfida della guerra di quinta dimensione è questa: non farti rubare la capacità di pensare con la tua testa, perdendo la bussola nella nebbia.
Letteratura e dottrina di riferimento
- ATP 3-36 Electronic Warfare (US Army)
manuale di riferimento per operazioni EW. - RUSI “Competitive Electronic Warfare in Land Operations” (2025)
studio su EW e scenari reali. - TechRxiv “Electronic Attacks as a Cyber False Flag against Maritime Radar”
casi di attacchi combinati. - Shultz & Godson, “Dezinformatsia”
manuale classico sulle operazioni di influenza. - Bittman, “The KGB and Soviet Disinformation”
insider account sulla disinformazione durante la Guerra Fredda. - CIA, Studies in Intelligence Winter 1984
una riflessione interna alla CIA sull’uso e sui limiti dell’analisi basata su singole fonti scritte dallo stesso soggetto osservato. Serve da monito: leggere le parole ufficiali può dire tanto, ma fanno spesso parte di una strategia comunicativa deliberata.
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