Quando il cinema ci costringe a pensare alla crisi; dal Quarto Turning a Turchin
L’inverno della storia non arriva mai annunciato. A volte bussa attraverso i libri, altre volte prende forma nelle immagini di un film. Civil War di Alex Garland non è intrattenimento: è una simulazione visiva di ciò che Strauss & Howe hanno chiamato la Quarta Svolta (Fourth Turning) e che Turchin misura con i dati della cliodinamica.
Ogni società attraversa i propri inverni. La lente ciclica dice che, ogni 80–100 anni, una crisi rifonda l’ordine. Rivoluzione americana, Guerra Civile, Grande Depressione e Seconda guerra mondiale: tornanti che hanno riscritto istituzioni, potere, immaginario.
Secondo questo orologio della Storia ciclica, siamo di nuovo lì. La finestra si aprirebbe tra il 2025 e il 2032.
Civil War è lo stress test immaginario del Quarto Turning: mostra cosa accade quando istituzioni logore e classi dirigenti non adeguate incontrano la stagione della crisi
Come ho scritto parlando di Homeland in “Il potere analfabeta”, le crisi non hanno bisogno di esporre teorie: esplodono quando l’ego e l’incapacità resistono al cambiamento. Ed è esattamente ciò che Civil War mette in scena.
La grammatica dei cicli
Negli anni Novanta William Strauss e Neil Howe hanno rifiutato la storia come linea retta e l’hanno letta come musica che ritorna.
Un saeculum dura 80–100 anni (più o meno una vita intera) e si divide in quattro svolte (turnings) di 20–25 anni:

- Alto (High)
istituzioni forti, fiducia e coesione. - Risveglio (Awakening)
fermenti culturali e spirituali che mettono in discussione l’ordine. - Disfacimento (Unraveling)
logoramento istituzionale, individualismo, polarizzazione. - Crisi (Crisis)
traumi profondi (guerre, collassi, rifondazioni) che distruggono il vecchio equilibrio e ne forgiano uno nuovo.
Al cuore c’è l’idea che le generazioni siano personalità collettive ricorrenti:
Eroi (coesi, orientati al gruppo), Artisti (sensibili, riflessivi), Profeti (visionari, radicali), Nomadi (pragmatici, disincantati).
Coesistono tutte, ma a ogni svolta una prende il timone.
I grandi inverni
Guardando indietro, “le svolte” appaiono come fratture che hanno riscritto le regole del gioco:
- La Rivoluzione americana (1776-1790), che crea lo Stato federale.
- La Guerra Civile (1860-1865), che ridefinisce l’unità nazionale.
- La Grande Depressione e la Seconda guerra mondiale (1929-1945), che danno vita al New Deal e all’ordine di Bretton Woods.
Ogni volta, il vecchio mondo è crollato. Ogni volta, dalle macerie è nato un ordine nuovo.
Il Quarto Turning
Per Strauss & Howe il Quarto Turning attuale inizia nel 2008: il crollo dei mutui subprime e la fine dell’illusione che il mercato globale potesse reggersi senza conflitti. Se il ciclo resta valido, il climax cadrà tra il 2025 e il 2032: quando le architetture nate nel ’45 faticano a reggere e un ordine nuovo pretende forma.
Civil War porta sullo schermo questo scenario: la crisi come inverno della storia, una società che si disgrega, istituzioni che collassano, idee che non reggono di fronte alla violenza. Non è una proiezione astratta, ma il riflesso cinematografico di ciò che già si muove sotto la superficie. In questo, il film non dice soltanto “può accadere qui”, ma obbliga lo spettatore a sentire il gelo di un futuro che bussa alla porta.
e tre lenti per leggere la crisi
Per capire il presente non basta un solo sguardo: servono lenti diverse, che si completano a vicenda.
Strauss & Howe hanno offerto la prima: una cornice narrativa, quasi mitica. Nel Fourth Turning (1997) descrivono la storia americana come una sequenza di stagioni di circa ottant’anni, un saeculum che si chiude sempre con un inverno. È la crisi rigenerativa, il momento in cui il vecchio ordine crolla e uno nuovo prende forma. Ogni generazione ha un ruolo: Profeti, Nomadi, Eroi e Artisti si alternano come archetipi collettivi che danno colore e direzione al ciclo.
Poi c’è Jack Goldstone, che porta questa intuizione sul terreno della scienza storica. Nel suo Revolution and Rebellion in the Early Modern World (1991, riedito nel 2016) formula una teoria demografico-strutturale: gli stati crollano quando coincidono tre condizioni – crisi fiscale, sovrapproduzione delle élite, impoverimento delle masse accompagnato da mobilitazione popolare. Non importa che si tratti dell’Inghilterra del Seicento, della Francia del 1789 o della Cina Ming: i pattern si ripetono, come onde.
Infine, Peter Turchin raccoglie l’eredità di Goldstone e la proietta nel presente. Con la sua cliodinamica, la scienza dei cicli storici, costruisce dataset globali (SESHAT, CrisisDB) e indicatori come il “wealth pump”, la pompa che drena ricchezza dal basso verso l’alto. In End Times (2023) dimostra che gli Stati Uniti vivono oggi gli stessi squilibri osservati in passato: disuguaglianze crescenti, élite in eccesso, polarizzazione politica, salari stagnanti. Tutti segnali che puntano verso una crisi strutturale.
Così le tre lenti si incastrano: Strauss e Howe danno la potenza del mito, Goldstone le fondamenta teoriche, Turchin i dati che mostrano come la crisi non sia più un’ipotesi ma un processo già in atto.
Insieme, queste tre lenti che mettono assieme mito, struttura e dati, restituiscono un’unica partitura: la crisi non è un accidente, ma una traiettoria che ritorna.
Dietro le stagioni e i cicli ci sono meccanismi concreti, numeri e strutture: il mito trova corpo nelle analisi di Goldstone e Turchin
Goldstone e gli ingranaggi della crisi
- Stato in affanno
entrate insufficienti rispetto ai costi (apparato, esercito, debito). - Sovrapproduzione di élite
troppi pretendenti rispetto ai posti disponibili → conflitto intra-élite, ostruzioni, delegittimazione. - Impoverimento e mobilitazione
salari reali in calo, prezzi in aumento, youth bulge, urbanizzazione. Masse giovani diventano terreno per nuove ideologie e rivolte.
Quando questi tre vettori si sommano, lo Stato perde legittimità e si apre la finestra rivoluzionaria. È uno schema ricorrente: Inghilterra 1640, Francia 1789, crisi ottomane e Ming.
Goldstone osservava una differenza: le società con età mediana alta tendono a transizioni più stabili, quelle con età mediana bassa a esplosioni più violente.
Nel caso attuale, però, questo schema sembra incrinarsi: l’età mediana è sì alta, ma composta in larga parte da immigrati digitali: generazioni che faticano a decifrare la complessità del mondo reticolare. È un’età matura biologicamente, ma analfabeta funzionale per insufficiente cultura digitale. E questo scarto cognitivo trasforma ciò che dovrebbe essere un freno in un moltiplicatore di instabilità.
Turchin con la cliodinamica e la “wealth pump”
- Variabili
salari reali (relative wage), competizione tra élite, forza fiscale dello Stato. - Wealth pump
istituzioni che spingono ricchezza dal basso verso l’alto → disuguaglianza, polarizzazione, crollo della fiducia. - Dataset globali
SESHAT (Global History Databank) , CrisisDB (una banca dati storica sulle crisi politiche, complementare a Seshat che raccoglie in modo sistematico casi di collasso statale, guerre civili, rivoluzioni e grandi crisi politiche negli ultimi 5.000 anni) + indicatori moderni (stagnazione dei salari, crescita top-income, sovrapproduzione di aspiranti élite). - Conclusione
dagli anni ’70 gli USA sono entrati in una nuova fase di disintegrazione. - Vie d’uscita
spegnere la wealth pump, ridurre la sovrapproduzione di élite, ricostruire capacità e legittimità dello Stato.
Il Quarto Turning attuale
Se lo schema ciclico di Strauss & Howe è corretto, il climax della succitata crisi si colloca tra il 2025 e il 2032. Per affrontarla, gli Stati Uniti potrebbero tentare di consolidare di nuovo il proprio emisfero, ricucendo le alleanze incrinate negli, questi, anni della “disruption”. La stagione dell’America First potrebbe essere più di una politica contingente: ma rappresentare la prova generale di uno smantellamento dell’ordine atlantico, con la Nato posta sotto interrogativo e il rapporto con Mosca evocato come variabile determinante, mentre il vero nemico percepito resta la Cina.
La partita che si aprirebbe, dunque, non riguarderebbe più soltanto confini ed arsenali. Il nuovo campo di battaglia è fatto di algoritmi, reti e finanza digitale, dove la supremazia non si misura più solo in forza militare ma nella capacità di dominare i flussi invisibili dell’informazione e del capitale: la vera essenza della guerra ibrida del XXI secolo.
Una crisi che non è solo americana
Eppure questa crisi non riguarda soltanto l’America. È un passaggio che investe l’intero Occidente, e l’Europa in particolare sembra muoversi come dentro una nebbia. La prova generale dello smantellamento dell’ordine atlantico, con la Nato messa in discussione e il rapporto con Mosca evocato come variabile geopolitica, ha lasciato il Vecchio Continente sospeso: incapace di capire se affidarsi ancora al protettorato americano, tentare un’autonomia strategica o limitarsi a reagire agli eventi.
Qui pesa un fattore culturale: l’analfabetismo funzionale delle élite. Governi e istituzioni formati in un mondo analogico non riescono a leggere i linguaggi del futuro: il digitale, l’intelligenza artificiale, la geopolitica delle reti. Lo si vede nei discorsi e nelle agende: categorie logore, strumenti del passato per decifrare un presente che corre troppo veloce.
Così, mentre i cicli storici rendono la crisi inevitabile, oggi il collasso si amplifica perché chi dovrebbe guidare il cambiamento non sa più interpretare i segnali del tempo. È come se l’orologio del Quarto Turno avesse accelerato, mentre l’Europa resta ferma con le lancette bloccate a un secolo fa.
Non basta prevedere l’inverno: serve chi sa leggerne il linguaggio
P.S. Una riflessione personale: Goldstone distingueva tra società giovani, più inclini alla violenza, e società mature, più stabili. Ma il nostro tempo sembra scardinare questa logica. L’età mediana è alta, sì, ma a guidare sono generazioni analogiche, immigrati digitali incapaci di decifrare il linguaggio della nuova complessità. È qui che la mia osservazione si innesta: la maturità anagrafica non basta più, perché se manca la maturità cognitiva e digitale, il fattore stabilizzante si rovescia in vulnerabilità.
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