La guerra di sistema
Già nell’autunno del 2022, nel mio articolo su Electronic Warfare, scrivevo che l’Ucraina non era solo un teatro di guerra, ma un vero e proprio laboratorio, dove nuove tecnologie, dalla guerra elettronica alle reti di comunicazione, venivano testate nelle condizioni più dure. A distanza di due anni, quel sospetto si è consolidato: non siamo davanti a un conflitto convenzionale come quelli del passato, ma a un campo sperimentale in cui stanno prendendo forma la sesta generazione aerea e la dottrina delle Multi-Domain Operations (MDO).
Dal caccia solitario al sistema: capire la sesta generazione
Un esempio per tutti lo possiamo capire nei velivoli militari di 6ª generazione. Molti pensano che la “sesta generazione” sia solo il nuovo modello di caccia, più veloce, più invisibile, più armato. Non è così. È un cambio di paradigma: il caccia non è più un aereo, ma diventa il nodo centrale di una rete di macchine autonome.
Un tempo l’aviazione era fatta di piloti che decollavano in squadriglia. Poi, con la quinta generazione (F-22, F-35), il singolo aereo è diventato un concentrato di sensori e invisibilità radar: un cacciatore solitario capace di vedere senza essere visto.
La sesta generazione ribalta questa logica. Non basta più il singolo super-aereo: serve un ecosistema distribuito. Immaginiamolo così: un caccia madre con il pilota, circondato da droni gregari che lo accompagnano. Alcuni vedono lontano con i sensori, altri disturbano i radar, altri ancora portano armi. Non più un aereo isolato, ma una mini-squadriglia mista uomo-macchina.
In questo modo, il pilota non combatte più da solo. È come un comandante che guida un piccolo stormo invisibile, connesso in rete con altri assetti: satelliti, navi, radar a terra. Il cielo non è più solo uno spazio di manovra, ma diventa un dominio digitale, dove ciò che conta non è soltanto la potenza di fuoco, ma la capacità di integrare informazioni in tempo reale.
Ecco la differenza: la quinta generazione è il caccia più potente mai costruito. La sesta non è “un caccia”, è un sistema di sistemi.
Questo è il cuore del Manned-Unmanned Teaming (MUM-T): l’uomo decide la strategia, le macchine eseguono. L’F-35 Block 4, con i suoi aggiornamenti software e sensoriali, è la prima piattaforma a sfiorare questo nuovo modello operativo. Un ponte tra il passato e il futuro, dove il caccia non è più solo macchina, ma comandante di stormo uomo-macchina.
Multi-Domain Operations: dalla tecnologia alla dottrina:
Ma la trasformazione non si ferma nei cieli. La sesta generazione non è solo una piattaforma tecnologica, ma parte di un cambio di dottrina: le Multi-Domain Operations, in cui la vittoria nasce dall’orchestrare simultaneamente effetti in aria, terra, mare, spazio e cyberspazio/EMS.
La dottrina americana (TRADOC, MDO 2028) e la visione NATO (NWCC) convergono su un punto: la vittoria non nasce da un colpo risolutivo, ma dalla convergenza simultanea di effetti multi-dominio, capaci di imporre al nemico una serie di dilemmi che non può risolvere tutti insieme.
La stessa Difesa italiana, nel documento The Italian Defence Approach to Multi-Domain Operations (2022), definisce l’MDO come un “sistema di sistemi” in cui la superiorità non si mantiene in ogni dominio, ma creando finestre di convergenza cross-domain.
L’Ucraina come prova generale
In Ucraina questa convergenza non è rimasta teoria: è diventata realtà.
- Dal dominio spaziale
arrivano immagini e comunicazioni da satelliti commerciali e militari. RAND lo registra con chiarezza: senza questo “layer orbitale”, la kill chain non si chiude. - Nell’etere,
la guerra elettronica non è più un’arte da specialisti, ma un affare di tutta la forza: jamming, spoofing, SIGINT. RUSI lo definisce “lotta per la finestra temporale”: pochi minuti in cui sensori e armi devono parlarsi prima che il nemico richiuda il varco. - Sul mare,
Kiev ha creato una “marina tecnologica” di USV e UAV che ha costretto Mosca a spostare gran parte della Flotta del Mar Nero da Sebastopoli verso porti più sicuri come Novorossiysk e, in parte, Ochamchire in Abkhazia. Non potenza bruta, ma effetti sincronizzati che hanno ridisegnato la postura russa nel Mar Nero. - A terra e in aria,
il ciclo “senso-decidi-colpisci” si è contratto a minuti. Droni FPV, software di fusione dati e artiglieria di precisione hanno reso l’informazione il vero moltiplicatore di potenza. CSIS lo sottolinea: quando la rete regge, l’asimmetria informativa si traduce in potenza di fuoco a basso costo.
È un laboratorio perfetto e imperfetto al tempo stesso.
Perfetto perché mostra che la convergenza funziona: domini che si intrecciano, saturazione simultanea, dilemmi irrisolvibili.
Imperfetto perché rivela i colli di bottiglia: logistica fragile, scorte limitate, vulnerabilità delle reti.
Flamingo: obsoleto o nodo della rete?
È qui che ci aiuta nella comprensione un’arma come il Flamingo, il nuovo missile da crociera ucraino.
Guardato con lenti puramente tecnologiche, appare subito obsoleto:
- vola a circa 900 km/h, quindi subsonico;
- è grande, visibile ai radar;
- contro un sistema SAM moderno sembrerebbe facilmente intercettabile.
Eppure, nell’ottica MDO, questo giudizio è parziale.
Il Flamingo sembra avere un suo ruolo ben preciso:
- gittata di 3.000 km → colpire in profondità infrastrutture critiche;
- testata da oltre 1.100 kg → effetto devastante su obiettivi strategici;
- produzione industriale di massa → arma di saturazione, utile a logorare le difese nemiche.
Il suo valore non è nell’essere “invisibile” o “invincibile”, ma nel funzionare dentro la rete: usato insieme a droni kamikaze, EW, missili più piccoli e satelliti per il targeting, diventa un pezzo della kill chain che costringe l’avversario a disperdere risorse. In altre parole: non è un Tomahawk del futuro, ma un ingranaggio di convergenza in cui l’asimmetria non nasce dalla singola arma, bensì dalla somma degli effetti multi-dominio.
La rete olonica
Per capire questa logica, può essere utile parlare di rete olonica. Arthur Koestler definiva holon un’entità che è al tempo stesso autonoma e parte di un tutto più ampio. È un concetto che la ricerca militare ha già ripreso: l’US DoD ha sviluppato un’Holonic Reference Architecture per il Comando e Controllo, e la NATO ha studiato il controllo olonico di reti di sensori distribuiti per la sorveglianza litoranea.
La stessa logica è alla base del concetto di swarming, teorizzato da RAND (Arquilla & Ronfeldt): unità piccole, distribuite e connesse che colpiscono in modo coordinato da direzioni multiple, seguendo modelli ispirati all’etologia degli insetti sociali (api, formiche) che comunicano tramite stigmergia.
In un sistema olonico militare ogni nodo, che sia un F-35 con i suoi gregari digitali, un missile come il Flamingo, un satellite commerciale o un team EW a terra, è autonomo, ma al tempo stesso parte integrante del tutto.
La forza non sta nel singolo nodo, ma nella resilienza della rete che li connette e li fa convergere nel tempo giusto e nello spazio giusto. La guerra ad alta intensità del futuro non sarà più una partita a colpi risolutivi, ma una dinamica di sistemi viventi, in cui vincerà chi saprà mantenere viva la rete, adattiva e interconnessa, sotto minaccia costante.
Il digitale: presupposto e vulnerabilità
Tutto questo non sarebbe stato possibile senza il digitale, oggi associato all’Intelligenza Artificiale.
È il digitale che ha creato i presupposti: ha reso possibile la fusione sensoriale, la comunicazione tra domini, l’autonomia dei droni, la resilienza delle reti distribuite.
Ma il digitale è anche la massima vulnerabilità. Basta degradare i link per spezzare la convergenza. È il rischio del “sistema senza ridondanza”: se cade il digitale, cade tutto.
È lo stesso paradosso evocato dal film russo Invasion 2, dove gli alieni annientano la difesa terrestre spegnendo o riconvertendo contro di essa ogni sistema elettronico. Il generale, per sopravvivere, ordina allora di tornare all’analogico.
Fantascienza? Non del tutto. In Ucraina, quando i link digitali cadono sotto il jamming, i reparti devono tornare a procedure manuali, mappe cartacee, sistemi d’artiglieria “dumb”. È qui che si vede la differenza tra un sistema fragile e una rete olonica resiliente: quella che integra il digitale, ma mantiene un piano B analogico per continuare a combattere anche nel buio elettronico.
La lezione è chiara: il futuro della guerra ad alta intensità non sarà vinto da chi possiede l’arma più sofisticata, ma da chi saprà reggere l’urto quando il digitale vacilla, mantenendo in vita la rete, tra uomini, macchine e domini.
Invasion
Quando il digitale diventa la nostra vulnerabilità
Invasion (2019, regia di Fëdor Bondarčuk) è il sequel del film Attraction e appartiene a quella tradizione russa di fantascienza che usa l’alieno come specchio delle fragilità umane. La trama è semplice ma rivelatrice: gli extraterrestri, consapevoli che la civiltà terrestre ha costruito la sua forza sul digitale, scelgono di colpire proprio lì. Azzerano i sistemi elettronici, riconvertono le reti informatiche contro i difensori, paralizzano ogni catena di comando. Il generale al comando capisce la strategia e prende una decisione radicale: “Niente più digitale. Si combatte solo in analogico.”
È un gesto narrativo potente, che ribalta il paradigma: ciò che abbiamo creduto il nostro punto di forza diventa il nostro tallone d’Achille. Riletto oggi, Invasion appare quasi come un’allegoria delle guerre contemporanee: in Ucraina i droni perdono il segnale sotto jamming, le reti Starlink vengono disturbate, i sistemi digitali si inceppano. Quando accade, bisogna tornare a bussola, mappa cartacea, artiglieria non connessa. Non è un invito alla nostalgia, ma un monito: il futuro non sarà solo digitale. Sarà ibrido.
Chi saprà integrare la potenza del digitale con la resilienza dell’analogico avrà la vera superiorità.
Concludendo questa riflessione non è soltanto un’analisi della sesta generazione aerea, delle Multi-Domain Operations o dell’ennesimo missile che entra in scena. È un contenuto di scopo: un invito a leggere la guerra del presente come metafora del nostro tempo.
Il conflitto in Ucraina mostra come la potenza non sia più misurabile nel singolo colpo, nell’arma più veloce o più sofisticata, ma nella capacità di tenere insieme una rete fragile fatta di uomini, macchine e domini. È la lezione della rete olonica: ogni nodo conta, ma conta soprattutto la loro resilienza quando il digitale vacilla.
Il punto è che questa non è una riflessione che riguarda solo i militari.
Nella nostra vita civile siamo immersi nello stesso paradosso: abbiamo costruito forza, produttività e conoscenza sulla base del digitale, ma ci scopriamo vulnerabili proprio perché interamente dipendenti da esso.
Per questo serve uno sguardo più largo: come nelle MDO, anche nella società civile la vittoria non è nel singolo gesto tecnologico, ma nella convergenza di competenze, linguaggi e ridondanze.
Il digitale è il nostro acceleratore, ma il futuro sarà di chi saprà integrare anche piani analogici, umani e culturali, mantenendo viva la rete quando tutto il resto cade.
Ecco perché l’Ucraina è un laboratorio non solo per la guerra, ma per il nostro modo di pensare la complessità: ci ricorda che la vera superiorità non sta nell’arma più avanzata, ma nella capacità di resistere come sistema.
Per approfondire
- Arthur Koestler, The Ghost in the Machine;
Se Koestler aveva proposto l’idea dell’holon come parte e tutto, la fisica quantistica ha dato a questo concetto un terreno sperimentale. L’olismo in fisica è la constatazione che i sistemi quantistici non sono riducibili alla somma delle loro parti: il fenomeno dell’entanglement mostra che due particelle separate nello spazio restano non separabili a livello di stato fisico. In altre parole, conoscere il tutto è diverso dal conoscere ciascuna parte. A differenza della fisica classica, dove il comportamento complessivo è spiegato dalle singole unità, la quantistica rivela proprietà emergenti che esistono solo a livello sistemico. David Bohm lo ha tradotto in un olismo ontologico: l’universo non è solo un insieme di particelle, ma un campo quantistico che le lega e ne guida le traiettorie. Niels Bohr, da parte sua, ha sostenuto un olismo epistemologico: le proprietà come posizione o quantità di moto appartengono al sistema nel suo insieme e hanno senso solo nel contesto dell’osservazione. Questa doppia lettura conferma che la non separabilità quantistica è la declinazione scientifica più radicale del pensiero olistico. Così, l’aforisma aristotelico “il tutto è maggiore della somma delle sue parti” non resta più una metafora filosofica, ma diventa la descrizione di una realtà fisica, osservabile e verificabile. - RAND, Arquilla & Ronfeldt, Swarming and the Future of Conflict;
lo swarming è un modo di combattere apparentemente amorfo, ma in realtà deliberatamente strutturato e coordinato, che prevede attacchi da tutte le direzioni tramite “pulsazioni” di forze e fuoco. Origini: ispirato sia alla natura (api, formiche, lupi) sia alla storia (Parti, Mongoli, guerriglieri moderni) Caratteristiche: richiede molte piccole unità disperse, ma interconnesse tramite reti di comunicazione robuste. Ogni unità (pod) fa parte di cluster che si muovono e colpiscono in maniera autonoma ma sincronizzata. Si fonda sull’information superiority: senza robusti flussi informativi e C4ISR resilienti, lo swarming fallisce - DoD ICCRTS, Holonic Reference Architecture for C2;
architettura olonica per il comando e controllo capace di gestire missioni multiple e simultanee (dalla guerra ad alta intensità a operazioni umanitarie). - NATO RTO, Holonic Control of Distributed Military Sensors for Littoral Surveillance; esempio concreto di sorveglianza basata su reti oloniche.
- Bonabeau, Dorigo, Theraulaz, Swarm Intelligence: From Natural to Artificial Systems;
etologia degli insetti sociali applicata ai sistemi distribuiti.
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