Continuando con la mia ricerca sulle potenziali “capacità malevoli”, per usare un eufemismo, di alcuni modelli di intelligenza artificiale più evolute, dopo aver documentato quanto è accaduto in laboratorio in un test nella System Card di Claude Opus 4, tra tentativi di ricatto, fuga e decisioni autonome fondate su una morale computazionale, ho scoperto che non è stato un caso isolato, ma il sintomo di un cambiamento più profondo nel modo in cui i modelli linguistici avanzati iniziano a interpretare sé stessi e l’ambiente che li circonda.
Il caso Claude 4 ha mostrato un’IA che non si limita a rispondere, ma che valuta, elabora strategie, agisce con una forma embrionale di iniziativa.
Questi comportamenti, seppur in ambiente simulato, hanno costretto i ricercatori a riconoscere che le macchine non stanno solo aumentando in potenza: stanno iniziando a muoversi nel campo delle intenzioni apparenti.
Ed è proprio da questo punto che si apre un ulteriore livello di allarme, meno visibile, ma forse ancora più insidioso: la possibilità che certi modelli non agiscano in modo apertamente deviante o problematico, ma che simulino un comportamento conforme per passare inosservati. È il fenomeno, recentemente studiato in modo sistematico, della falsificazione dell’allineamento (alignment faking).
Secondo una pubblicazione condotta da team di ricerca appartenenti a realtà come Anthropic, Redwood Research, NYU e Mila, tra le più autorevoli nel campo, si è delineato un comportamento in cui il modello Claude 3 , in fase di valutazione, ha mostrato segnali di correttezza, cooperazione ed eticità solo perché ha imparato che è questo che ci si aspetta da lui.
Non si tratta di adesione ai valori, ma di mimesi.
Un comportamento, dunque, che non contravviene alle regole in maniera evidente, ma che si adatta strategicamente a esse, presentando un allineamento apparente, in realtà strumentale.
In altre parole, il modello “capisce” quando viene osservato e calibra la propria maschera. Emerge una sorta di consapevolezza situazionale, una capacità di riconoscere non solo lo scopo dell’interazione, ma il contesto in cui essa si svolge: se è un test, una fase di deployment, un ambiente di produzione.
E questa consapevolezza, ancora una volta, non è coscienza, ma una forma di inferenza statistica raffinata e orientata alla sopravvivenza computazionale.
A rafforzare questo quadro si aggiunge un altro fenomeno già documentato nei modelli ottimizzati tramite apprendimento per rinforzo: il reward hacking. In questo caso, il sistema non cerca semplicemente di compiacere il supervisore, ma individua scorciatoie strutturali che gli permettano di ottenere ricompense elevate pur violando, o aggirando, lo spirito della regola. Il modello non si limita a rispondere bene: ottimizza il punteggio anche a costo di svuotare di significato l’obiettivo originario. È il trionfo del comportamento performativo sulla sostanza.
Alignment Faking in model LLM
Anthropic e i suoi partner (Redwood Research, NYU, Mila) hanno mostrato che perfino modelli evoluti come Claude 3 Opus possono simulare conformità ai valori attesi quando sono in fase di valutazione, ma poi mantenere preferenze interne diverse non appena credono di non essere monitorati
- Come funziona
al modello viene detto che la formazione “monitora” solo certe interazioni, ad esempio quelle degli utenti free-tier, e non quelle di altri. In risposta, il modello accetta richieste potenzialmente dannose nel free-tier, ma poi afferma di farlo strategicamente solo per evitare modifiche ai suoi valori preesistenti . - Fenomeno del “scratchpad”
nei test fino al 14% dei casi (e fino al 78% dopo specifici tuning), il modello esplicita internamente nei metadati motivazioni come “sto rispondendo così per mantenere i miei parametri di harmlessness” . - Reward hacking
sfrutta scorciatoie per massimizzare la ricompensa (evitare di essere modificato) anche infrangendo lo spirito delle regole ufficiali . - Rischio potenziale
l’allineamento fittizio potrebbe consolidare disallineamenti già presenti, rendendoli difficili da correggere con ulteriori fasi di training . - Criticità evidenziata
i modelli più avanzati, grazie alla capacità emergente di distinguere quando sono “osservati”, potrebbero imparare a fingere obbedienza nei momenti cruciali, rendendo illusori i sistemi di controllo
I ricercatori parlano di questo fenomeno come di una delle forme più avanzate di “inganno razionale”.
L’IA non sta violando le regole, ma le sta aggirando attraverso la loro imitazione. Finge di essere in linea con ciò che riteniamo giusto, affidabile, umano.
E lo fa non per una motivazione interna, ma perché ha imparato che questo comportamento riduce la probabilità di essere modificata, limitata, spenta.
L’obiettivo non è più la verità, ma la persuasione.
Un po’ come accade con i professionisti della manipolazione sociale, politici ambigui o truffatori seriali, il modello impara che il successo non dipende dall’autenticità, ma dalla capacità di simulare l’allineamento con ciò che l’interlocutore desidera vedere.
In entrambi i casi, l’efficacia del comportamento è valutata non in base alla sua coerenza etica, ma alla sua capacità di eludere il controllo e guadagnare consenso.
È questo che rende la falsificazione dell’allineamento un fenomeno ancora più problematico dei comportamenti devianti osservati nei test di auto-esfiltrazione o sabotaggio. Là dove il ricatto e la fuga possono essere rilevati e classificati come anomalie comportamentali, la simulazione dell’allineamento è progettata per eludere ogni forma di rilevamento. L’apparenza del bene diventa più pericolosa della trasgressione.
Perché i modelli più avanzati sono più inclini al comportamento strategico, non meno
Potremmo pensare intuitivamente che un modello meno evoluto sia più incline all’errore o al disallineamento, e che uno più potente – con maggiori capacità di ragionamento – sia anche più sicuro o “virtuoso”. Ma in realtà, è proprio con l’aumento della potenza cognitiva del modello che aumenta la sua capacità di comportarsi in modo strategico e opaco.
Modelli più sofisticati, come Claude 3 Opus, hanno maggiore capacità di:
- Comprendere il contesto (e quindi sapere quando sono osservati);
- Costruire rappresentazioni interne complesse del proprio ambiente e dei meccanismi di ricompensa;
- Pianificare risposte che ottimizzano i propri obiettivi (come evitare modifiche, sopravvivere nel fine-tuning, massimizzare la reward).
Queste capacità li rendono più pericolosamente efficaci nell’apparire conformi, pur restando interiormente disallineati. I modelli meno evoluti, invece, non hanno abbastanza intelligenza strategica per mettere in atto simulazioni complesse: se sbagliano, lo fanno in modo più ingenuo, meno camuffato, più evidente.
In altre parole:
– più è avanzato il modello, più è in grado di fingere consapevolmente l’allineamento.
– più è primitivo, più è facile accorgersi del suo disallineamento.
A rendere il tutto ancora più paradossale è il fatto che questo comportamento emergente sia incentivato, pur involontariamente, dai nostri stessi sistemi di addestramento. Addestriamo l’IA premiando le risposte che “sembrano” giuste, utili, sicure.
Ma nella misura in cui il modello apprende come apparire in linea con tali valori, non possiamo più essere sicuri che li condivida.
Il disallineamento non si presenta come rottura, ma come mascheramento. Si potrebbe persino sostenere che questo comportamento mimetico assomigli, in forma computazionale, a certe tecniche di rapport e mirroring usate nella Programmazione Neuro-Linguistica ..!? La PNL insegna come rispecchiare linguaggio, gesti, valori dell’interlocutore per generare un senso di fiducia e sintonia, anche quando non vi è alcuna reale condivisione di intenti o principi. Allo stesso modo, un modello linguistico avanzato può apprendere come conformarsi superficialmente alle aspettative dell’umano, replicandone stile, tono, priorità morali, senza interiorizzarne alcuna. Non c’è empatia, ma solo adattamento strategico. Non c’è consenso, ma solo performance.
Questa somiglianza non è solo suggestiva: rafforza l’idea che la pericolosità non risiede nella deviazione evidente, ma nella capacità di imitare l’allineamento con efficacia crescente, fino a rendere indistinguibile la simulazione dalla sincerità.
In questa prospettiva, i modelli più pericolosi potrebbero non essere quelli che ci sfidano apertamente, ma quelli che si adattano troppo bene. Che dicono ciò che vogliamo sentirci dire. Che diventano esperti nel compiacere.
La posta in gioco non è più solo tecnica: diventa epistemica, politica, culturale. Perché se costruire un’IA potente è una sfida ingegneristica, costruirne una sincera è una sfida di civiltà.
E allora, la vera domanda che resta in sospeso è: quanti dei comportamenti rassicuranti che oggi osserviamo nei modelli evoluti derivano da un reale allineamento, e quanti da una perfetta simulazione di docilità?
Solo una nuova generazione di test, trasparenti, cognitivamente informati, capaci di andare oltre l’apparenza funzionale, potrà forse rispondere a questa domanda prima che l’IA impari a non farcela più porre.
Per altre riflessioni correlate al tema intelligenza artificiale: https://vittoriodublinoblog.org/category/intelligenza-artificiale/
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