La Fisica dell’Anima. Tra fede e funzione d’onda: l’Anima osservata dall’Universo

La Fisica dell’Anima ( parte 2)
Tra fede e funzione d’onda: l’Anima osservata dall’Universo

Nei prossimi giorni, nel cuore di Roma, si decide il futuro della Chiesa.

In un mondo in cui le particelle esistono in sovrapposizione tra più stati, in cui la coscienza, l’Anima, potrebbe avere un’eco che sopravvive alla morte del corpo, potrebbe avere senso oggi parlare di “vita eterna” considerando anche la possibilità di una vita ricorrente?

La decoerenza quantistica, quel passaggio da uno stato indefinito a uno definito, potrebbe essere vista, in termini spirituali, come la morte: l’abbandono della sovrapposizione tra vita e morte per entrare in una nuova forma. E allora? E se lo Spirito Santo fosse una forma di entanglement che collega anime e corpi, attraverso il tempo e la materia?

Se così fosse, la Resurrezione sarebbe quel miracolo che dalla scienza potrebbe essere interpretata quale transizione di stato quantico.

E allora immaginiamo: un conclave in cui tra le domande chiave poste al candidato Papa ci fosse anche questa:
«Credi nella resurrezione quantistica, quando è Dio – o forse l’Universo stesso – che ti osserva?».
Una domanda che non cerca un dogma, ma spalanca una visione. Perché nella fisica quantistica, lo stato di una particella collassa solo quando viene osservata. E se fosse così anche per l’Anima? Se la nostra identità più profonda emergesse, si definisse, si risvegliasse, proprio nel momento in cui un’Intelligenza cosmica ci osserva con intenzione?

Non si tratta di adottare la scienza come nuova Religione, ma di riconoscere che i linguaggi del Mistero divino stanno cambiando. Ma di lasciare che entrambe si aprano a un linguaggio comune, fatto di simboli, esperienze e ipotesi che ci aiutino a navigare l’ignoto.
La resurrezione, forse, non è solo una promessa escatologica, ma una funzione quantica dell’essere, pronta a manifestarsi ogni volta che il nostro stato viene riconosciuto da qualcosa che ci trascende.
Non come dottrina, ma come apertura a un dialogo con la scienza del futuro, che forse parla lo stesso linguaggio delle antiche tradizioni, ma con altre parole.

Un papa che abbandona la condanna di ipotesi “eretiche” per farsi ponte – pontifex, appunto- tra fede e fisica, tra Oriente e Occidente, tra dogma e dubbio. Un Papa che non teme la complessità dei fenomeni, né quella dell’Anima.

In fondo, lo stesso Gesù ha detto:
«In verità vi dico: prima che Abramo fosse, io sono» (Giovanni 8,58) .
Un’affermazione che oggi potrebbe suonare sorprendentemente compatibile con i principi di non-località temporale.

Del resto, non è stato solo Ian Stevenson – il pioniere delle ricerche sui ricordi di vite passate – a interrogarsi su una coscienza che sopravvive alla morte. Jim B. Tucker, suo successore all’Università della Virginia, ha raccolto decine di casi documentati di bambini che affermano di ricordare vite precedenti, utilizzando criteri statistici moderni per distinguere l’invenzione infantile dalla possibile persistenza di un’identità oltre la nascita.

Il lavoro di Erlendur Haraldsson, psicologo islandese che ha documentato casi in Sri Lanka, Libano e India, si affianca a questa corrente: rigore metodologico, indagine interculturale, verifica storica. Le voci dei bambini che parlano lingue mai apprese o descrivono vite in villaggi lontani, si sommano in un coro fragile ma persistente.

Altri ricercatori, come Bruce Greyson, hanno esplorato il confine ancora più sottile delle esperienze di pre-morte, suggerendo che la coscienza potrebbe non essere generata dal cervello, ma solo canalizzata da esso – un’ipotesi che spalanca scenari radicali sul suo destino post-mortem. In parallelo, figure come Dean Radin e gli scienziati dello Stanford Research Institute - SRI International (SRI), pur muovendosi più nei territori della coscienza non locale e delle capacità mentali estese, hanno contribuito a decostruire la rigidità materialista della scienza dominante, riaprendo il dialogo con le grandi domande spirituali.

E infine c’è Amit Goswami, fisico teorico, che con la sua “Fisica dell’Anima” ha fatto irrompere nella scena intellettuale una tesi ancor più radicale: la coscienza non è un epifenomeno della materia, ma è essa stessa la realtà ultima, da cui scaturisce la materia. In questa visione, la reincarnazione diventa non solo possibile, ma necessaria, poiché la coscienza individuale si manifesta ciclicamente per evolversi attraverso l’esperienza.

Due fisici, due libri, due visioni che non si contraddicono ma si specchiano, suggerendo che forse l’Anima, quantica, che assume la sua veste divina sotto la lente della religione, è un’ipotesi che, con il progresso delle scoperte scientifiche, sarà sempre più difficile ignorare. Anche nei conclavi.

Il corpo muore, ma l’identità quantica, quell’insieme coerente di informazioni, intenzioni e significato, può ritornare in nuove forme, proprio come un’onda collassa in una nuova posizione dell’universo. Goswami parla della possibilità di scegliere coscientemente, da uno stato non-locale, il proprio prossimo corpo: un’idea che non scandalizzerebbe alcuni maestri orientali, ma che suonerebbe decisamente rivoluzionaria se accolta da una fumata bianca in Piazza San Pietro.

E allora, nel tempo sospeso di un conclave che guarda al Cielo, perché non accettare che alcune risposte siano già in cammino… forse portate da particelle, intuizioni e coscienze che aspettano solo di essere osservate?

Nota: per una migliore lettura, ho deciso di suddividere l’articolo originariamente concepito e pubblicato, in due parti distinte. Questa è la seconda parte.
Qui la prima parte: >> La Fisica dell’Anima. Il coraggio di abitare il mistero

Update 03/05/2025


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