La Fisica dell’Anima (parte 1)

Sono un provocatore culturale, lo ammetto e lo rivendico. Mi piace innescare riflessioni dove spesso regna la ripetizione. Pubblico le mie idee da decimo uomo, proprio quando l’attualità offre spiragli per pensare fuori dai dogmi — come in questi giorni, in cui si parla di conclave.
Nel mio ultimo articolo Come sognava Francesco, che sia: GAUDIUM et SPES”, invito a ripensare la spiritualità alla luce delle esigenze delle nuove generazioni. Parallelamente, collaboro con fisici quantistici per costruire nuove forme di divulgazione accessibile: rendere comprensibili e vitali concetti che la scienza ufficiale ancora tratta come materia per pochi iniziati.
E proprio lì, in quel confine tra fisica e coscienza, mi accorgo che la frattura tra scienza e spiritualità è forse solo una costruzione difensiva.
Ma c’è un paradosso che aleggia silenzioso in questa tensione tra fede e scienza: la resistenza non è unilaterale. Se per secoli la religione ha diffidato della scienza per timore che profanasse il mistero, oggi accade anche il contrario. Quando un fisico viene interpellato su coscienza, anima o reincarnazione, spesso mostra lo stesso imbarazzo che un prelato esprimerebbe davanti a una formula di meccanica quantistica. Due mondi, due linguaggi, ma lo stesso timore di perdere autorità. La scienza, che pure ha spalancato le porte al paradosso e all’indeterminazione, rifiuta ciò che non può misurare; la religione, che si nutre del mistero, respinge ciò che non può controllare. E così, entrambi finiscono per escludere proprio ciò che più profondamente li unirebbe: il riconoscimento del limite, e insieme la tensione verso l’infinito.
Oltre quattrocento anni fa, Giordano Bruno aveva già osato superare questa frattura. Credeva in un universo infinito, popolato da mondi, dove materia e spirito non erano in opposizione ma parte dello stesso disegno. Un’intuizione che gli costò il rogo. Ma oggi, a ruoli invertiti, sembra che siano proprio gli scienziati ad accusare di eresia i colleghi che osano parlare di spiritualità, coscienza o anima quantica. Là dove un tempo era la Chiesa a giudicare il pensiero eretico, oggi è spesso la scienza a erigere nuovi roghi simbolici contro chi esce dai confini del metodo e della misura.
Oggi, quella visione potrebbe rappresentare la più grande sfida non solo per le Chiese del futuro, ma anche per la scienza stessa. Perché, forse, il vero atto rivoluzionario non sarà scegliere tra religione e scienza, ma accettare il mistero che le attraversa entrambe. E iniziare da lì un dialogo necessario, radicale, finalmente all’altezza del nostro tempo.
Spiritualità e Scienza, se riconnesse attraverso un autentico Umanesimo, non devono temersi né contaminarsi pericolosamente: possono, invece, farsi leve complementari di comprensione. Il rischio non sta nel loro incontro, ma nel modo in cui esso avviene. Laddove l’una tenta di imporsi sull’altra, si cade nella dogmatica, o peggio, nella manipolazione. Ma laddove si accetta di abitare lo spazio del dubbio e della meraviglia, allora nasce un pensiero nuovo, fertile. Lì, un filosofo, uno scienziato e un artista possono finalmente dialogare sul senso, senza pretese di verità assolute, ma con il coraggio di sostare nella complessità. In questo spazio, è essenziale distinguere tra scienza autentica e manipolazione scientista: quest’ultima traveste da neutralità ciò che spesso risponde a ideologie, poteri o interessi, riducendo ogni pensiero divergente a superstizione.
Ma la vera scienza, come la vera spiritualità, non teme il dubbio: lo abita.
“Il Paradosso del Dialogo Impossibile”
La resistenza non è solo religiosa. Anche la scienza si chiude.
Quando si parla di coscienza, anima o persino reincarnazione, molti fisici reagiscono con lo stesso disagio che un teologo prova davanti all’idea che Dio possa essere descritto da un’equazione.
Eppure, il paradosso è evidente: la fisica moderna ha rotto la linearità, aperto all’indeterminazione, scoperto che l’osservatore influenza il sistema. Ma proprio lì dove si apre al mistero, si richiude nel silenzio.
Religione e scienza sembrano due fortezze che si proteggono dallo stesso pericolo: perdere il controllo.
Ma cosa accade quando uno scienziato sperimentale confessa di credere in ciò che la sua stessa scienza ancora non sa spiegare? In questo dialogo denso e senza sconti, un filosofo e un fisico sperimentale si confrontano su un paradosso: l’entanglement, fenomeno quantistico che unisce due particelle in uno stato condiviso, anche se separate da anni luce, è oggi dimostrabile e replicabile. Eppure, la natura profonda di questa connessione resta avvolta nel mistero.
Il fisico “sa” come funziona le legge della fisica quantistica, ma non sa perché, affermando: “così è!”
E proprio in quel varco, tra ciò che può misurare e ciò che può solo intuire, entra in gioco la Fede. Non quella dogmatica, ma quella dell’intelligenza aperta al mistero.
La scienza tocca il confine, la filosofia lo nomina. La spiritualità lo abita.
E se l’anima fosse lì, sospesa tra due particelle in entanglement?
Nota: per una migliore lettura, ho deciso di suddividere l’articolo originariamente concepito e pubblicato, in due parti distinte. Questa è la prima parte.
Qui la seconda parte: >> La Fisica dell’Anima. Tra fede e funzione d’onda: l’Anima osservata dall’Universo
Update 03/05/2025
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