Il volo del Minotauro in una Napoli del 2051

Cyberpunk mediterraneo e distopia post-umana


“La tecnologia non è un ponte verso un’umanità potenziata, ma un campo di rovine in cui la sopravvivenza è la sola legge”

Se il cyberpunk nasce dal contrasto tra tecnologia avanzata e degrado sociale, Il volo del Minotauro di Massimo Sgroi (copertina dell’artista Angelo Volpe per ed. Castelvecchi) estremizza questo concetto in una Napoli del 2051 che smette di essere solo scenario per trasformarsi in una monade claustrofobica, un ecosistema chiuso in cui la stratificazione sociale diventa invalicabile.

Siamo lontani dalle megalopoli asiatiche che hanno plasmato l’immaginario cyberpunk e dalle visioni distopiche hollywoodiane che mescolano neon e noir.
Qui il futuro non ha nulla a che vedere con un umanesimo tecnologico benevolo: non c’è traccia dell’utopia di Società 5.0 a matrice giapponese, della simbiosi tra uomo e macchina per il progresso collettivo. La tecnologia non è un ponte verso un’umanità potenziata, ma un campo di rovine in cui la sopravvivenza è la sola legge.

La città è una discarica post-industriale, un organismo tossico in cui il passato è compresso in un presente senza via di fuga. Non c’è spazio per un sogno tecnocratico transumanista: l’ibridazione tra uomo e macchina è una condanna, non un’evoluzione.

In un’estetica del degrado di un Mediterraneo post-umano, Sgroi costruisce un immaginario cyberpunk atipico, fondendo la tradizione meridionale con la violenza spietata di un mondo senza futuro. La downtown di questa Napoli-monade è popolata da bambini gladiatori per scommesse clandestine, mutanti deformi frutto di una catastrofe ambientale mai del tutto spiegata e cyborg assemblati con tecnologia di scarto, residui di un’epoca finita.

Qui si colloca Stephan, l’androide “difettoso”, dotato di un’umanità imprevista, un bug nel sistema. Se il cyberpunk classico ha spesso giocato sul dilemma dell’IA senziente, Il volo del Minotauro ribalta la prospettiva: è l’umanità a essere spogliata di ogni etica e compassione, mentre il sintetico diventa l’ultimo testimone delle emozioni. Ma il romanzo non si abbandona a facili sentimentalismi: Stephan non è un messia digitale, né il solito androide che sogna “pecore sintetiche”. È una macchina che lotta contro la propria condizione, consapevole che il libero arbitrio potrebbe essere solo un’illusione programmata.

Ciò che distingue questo romanzo da molte narrazioni cyberpunk è la distopia senza redenzione: l’assenza di una via d’uscita. Questo genere letterario, per quanto pessimista, ha spesso lasciato spiragli di fuga: il cyberspazio, la ribellione, il confine tra reale e virtuale come ultima illusione di libertà. Qui, invece, la monade è una gabbia totale.
Non c’è altrove, non c’è un network da hackerare per sovvertire il sistema.

Anche la religione, che nella cultura mediterranea ha sempre offerto un rifugio simbolico, è ridotta a un residuo apotropaico: i personaggi pronunciano antiche preghiere come superstizioni svuotate di significato. È il segno definitivo di un mondo in cui persino il divino è stato sostituito dalla necessità di sopravvivere.

Il placement culturale de Il volo del Minotauro è chiaro. Se il cyberpunk classico racconta il declino delle metropoli del capitalismo avanzato, Sgroi lo declina con un linguaggio e un immaginario radicati in una cultura sospesa tra il passato remoto e il futuro mancato. L’errore del pensiero progressista è sempre stato credere che l’evoluzione tecnologica avrebbe necessariamente migliorato le condizioni umane. Sgroi smonta questa illusione con un’ambientazione in cui l’innovazione accelera solo il collasso sociale, creando nuove forme di sfruttamento e segregazione. Stephan, il sintetico che sviluppa emozioni, non è il simbolo di una nuova coscienza artificiale al servizio dell’uomo, ma un’anomalia, un errore che sfida il proprio codice senza trovare un senso pieno nella sua esistenza.
Come il Minotauro del titolo, è intrappolato in un labirinto senza uscita, condannato a un destino che non ha scelto. Se c’è un messaggio nel romanzo, non è di speranza né di rivoluzione, ma una presa d’atto: il futuro non è scritto dai progressisti ottimisti né dai reazionari nostalgici. Il futuro è il prodotto dei rifiuti del presente, ed è proprio in quei rifiuti che vivono i protagonisti di questa storia. Il romanzo è una feroce critica alla società contemporanea, esasperandone le disuguaglianze e le derive tecnologiche fino alle loro estreme conseguenze. La Napoli del 2051 è il risultato di un processo già in atto: la crescente privatizzazione degli spazi urbani, la precarizzazione delle classi più deboli, la manipolazione tecnologica che, anziché emancipare, crea nuove forme di schiavitù.

In sintesi, Il volo del Minotauro è una distopia che non lascia respiro, un incubo tecnologico in una città ridotta a residuo di se stessa. Più che una storia, è la radiografia di un futuro che ha già messo radici nel nostro presente. Chi cerca un cyberpunk glamour o actionoriented resterà deluso.
Questo è un romanzo che sporca, che usa il linguaggio per ferire e gli scenari per soffocare. Ed è proprio qui che risiede la sua forza.
Non è una distopia per chi cerca consolazione in una ipotetica via di scampo, ma per chi vuole un’immersione senza compromessi nel lato più oscuro dell’evoluzione tecnologica e sociale.
E qualcuno ne farà un film, di sicuro.


altri temi/recensioni in questo blog : >> 

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Blog su WordPress.com.

Su ↑