Yesterday, I shared a reflection on my blog about a cyber attack that caused numerous casualties, affecting not only the enemies of one state but also the civilian population of another. While the attack was alarming and set a dangerous precedent of targeting anyone, anywhere, the media failed to highlight the critical threat: the potential capability of such an attack to interact with any electronic device, posing a widespread security risk.
Ieri ho pubblicato una riflessione su Sensazionalismo e Percezione Pubblica su questo blog, riguardante gli effetti mediatici di un recentissimo attacco cibernetico militare che ha causato numerose vittime e feriti, colpendo non solo i nemici di uno Stato, ma anche la popolazione civile di un altro Stato. Sebbene si tratti di un’azione eclatante — un precedente ante litteram di una potenziale minaccia capace di colpire indiscriminatamente chiunque e ovunque — le notizie diffuse, dai media, in quello che sembra un palese principio di agnotologia, hanno omesso dettagli cruciali sull’effettivo pericolo incombente. In particolare, è stata trascurata la gravità della situazione legata alla capacità potenziale del cyber attacco di interagire con qualsiasi dispositivo elettronico, amplificando enormemente il rischio per la sicurezza di tutti.

La manipolazione mediatica è un tema centrale nei dibattiti contemporanei sul potere dei mezzi di comunicazione e sul loro impatto sulle percezioni individuali e collettive. Le radici di questa riflessione affondano agli inizi del XX secolo, quando il giornalista americano Walter Lippmann cominciò a studiare l’uso massiccio della propaganda durante la Prima Guerra Mondiale. Nel suo libro L’opinione pubblica (1922), ormai un classico degli studi sulla comunicazione, Lippmann introduceva il concetto di pseudo-ambiente per descrivere come l’essere umano, di fronte alla complessità crescente del mondo, fosse costretto a rappresentarsi la realtà tramite modelli semplificati. Questi modelli, secondo Lippmann, non erano altro che rappresentazioni artificiali e distorte della realtà, create dai mezzi di comunicazione, all’epoca rappresentati principalmente da stampa e radio.
Gli pseudo-ambienti e la realtà filtrata
Lippmann evidenziava che l’uomo moderno non può accedere direttamente alla realtà, ma deve fare affidamento su immagini e informazioni filtrate dai media. In altre parole, lo pseudo-ambiente è il mondo in cui l’individuo vive, più costruito da rappresentazioni che da esperienze dirette.
Secondo Lippmann, la qualità delle informazioni a cui siamo esposti, insieme alla nostra capacità critica di analizzarle, è ciò che determina la nostra comprensione della realtà. Tuttavia, questa comprensione è costantemente minacciata dal rischio di manipolazione.
Il rischio della manipolazione, sia politica che commerciale, diventa centrale in ogni società, democratica o autoritaria. Lippmann temeva che, nonostante i media fossero strumenti di partecipazione democratica, potessero anche trasformarsi in armi pericolose contro la stessa democrazia, alimentando stereotipi e distorsioni della realtà.
L’evoluzione della manipolazione nell’era digitale

Negli ultimi decenni, la manipolazione dei media è diventata ancora più insidiosa e sofisticata, soprattutto con l’avvento dei nuovi media. Non solo i mezzi di comunicazione di massa continuano a svolgere il loro ruolo di filtro della realtà, ma, come suggerisce il linguista George Lakoff, oggi gli pseudo-ambienti sono costituiti non tanto da contenuti quanto da codici, simboli e cornici comunicative (frame). Le metafore utilizzate nella comunicazione orientano il pensiero e le emozioni degli individui, predisponendoli ad accettare determinati messaggi politici o commerciali. Non si tratta più di distorcere i fatti, ma di creare contesti emotivi in grado di rendere certi messaggi irresistibili.
Un esempio tipico è l’uso di termini come “sollievo fiscale” in contesti politici. La parola “sollievo” evoca l’immagine di un salvatore e di una parte afflitta, creando un frame emotivo in cui chiunque proponga l’abolizione delle tasse viene percepito come un eroe, mentre chi si oppone come un ostacolo malvagio. Questo tipo di manipolazione, basata su un framing emotivo più che su dati concreti, può plasmare l’opinione pubblica in modo particolarmente efficace.
I nuovi media e la manipolazione digitale
Con l’emergere di Internet e dei social media, si è sperato in una maggiore democratizzazione dell’informazione. Tuttavia, come nota il sociologo Guido Gili, la “rete delle reti” non è immune dalle dinamiche di manipolazione. Se i media tradizionali erano caratterizzati da un feedback deduttivo e da una relativa ignoranza sulle preferenze specifiche del pubblico, la digitalizzazione ha portato a un maggiore controllo e conoscenza dei destinatari dei messaggi. Attraverso l’analisi dei consumi comunicativi, chi occupa le posizioni di potere nei media digitali ha ora accesso a una mole di informazioni senza precedenti, aumentando così le potenzialità manipolatorie.

In parallelo, il sociologo Manuel Castells ha evidenziato come i nuovi media, in particolare i social network, possano essere utilizzati come strumenti di contropotere. Movimenti come la Primavera Araba, Occupy Wall Street e il Movimento 5 Stelle in Italia hanno dimostrato che la comunicazione individuale di massa (mass self-communication) può sfidare le narrative tradizionali dei media mainstream e dare voce a nuovi attori sociali. Tuttavia, anche questi strumenti di emancipazione sono vulnerabili alla manipolazione. È ormai noto, ad esempio, che le forze militari e politiche utilizzano software per creare identità false sui social media, con lo scopo di influenzare le conversazioni online e diffondere propaganda.
Conformismo e auto-manipolazione

Già negli anni ’50, il sociologo David Riesman, nel suo libro La folla solitaria, aveva descritto come la manipolazione mediatica fosse facilitata dal desiderio di conformarsi agli altri, un desiderio costruito socialmente e alimentato dal timore dell’isolamento. I gruppi sociali di appartenenza, invece di proteggere l’individuo dall’influenza dei media, spesso rafforzano il conformismo, rendendo più facile la manipolazione. Riesman sottolineava la caratteristica auto-manipolatoria dell’essere umano: anche in presenza di un’ampia pluralità di fonti informative, il desiderio di uniformarsi agli altri prevale.
Vance Packard, nel suo classico I persuasori occulti (1957), aveva già anticipato come la pubblicità sfruttasse tecniche psicologiche per condizionare le scelte dei consumatori. Egli denunciava la progressiva colonizzazione della mente dei cittadini da parte delle grandi aziende, che fin dall’infanzia “allevano” i consumatori, condizionandone i comportamenti.

Il futuro della manipolazione mediatica
Oggi, con l’aumento della complessità tecnologica e della pervasività dei media digitali, la manipolazione è diventata un fenomeno ancora più sofisticato e difficile da riconoscere. La sfida contemporanea non riguarda più solo la distorsione delle informazioni, ma la creazione di pseudo-realtà attraverso simboli e metafore, che influenzano non solo i comportamenti di consumo ma anche le scelte politiche e sociali.
L’illusione che Internet possa eliminare la manipolazione mediatica è stata sfatata dai fatti. Come ci ricorda la pubblicitaria Annamaria Testa, la differenza fondamentale tra propaganda e pubblicità è che la prima manipola le persone spingendole a credere in falsità, spesso utilizzando la paura e la disinformazione. In un’epoca di post-verità, è più che mai importante sviluppare strumenti critici per analizzare l’informazione e riconoscere le tecniche di manipolazione in atto.
Il ruolo dei media non è solo quello di rappresentare la realtà, ma di crearla. In questo senso, l’impatto della comunicazione di massa sul senso comune non può essere sottovalutato. La nostra capacità di resistere alla manipolazione dipende dalla nostra abilità nel distinguere tra fatti e opinioni, e nel mantenere un approccio critico di fronte alla complessità del mondo.
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