Nel 2010, durante una conferenza significativa chiamata “Arte e Percezione” presso la Royal Flemish Academy of Belgium for Science and the Arts a Bruxelles, è stato discusso il valore dell’interdisciplinarità per comprendere la percezione dell’arte e dell’estetica. Esperti di vari campi, tra cui artisti, scienziati e studiosi di discipline diverse, hanno sottolineato l’importanza di considerare diverse prospettive, metodi di ricerca e aree scientifiche per approfondire queste tematiche.
Son Preminger, uno scienziato che ha partecipato all’evento, ha sottolineato che l’arte è un mezzo che provoca esperienze, trasmettendo significati, benessere e possibilità di autoespressione e comunicazione. Le opere d’arte suscitano esperienze mentali in chi le osserva, partecipa o sperimenta, attivando processi percettivi sia di basso che di alto livello.
Son Preminger è un neuroscienziato che opera ricerca applicata, che ha contribuito al dibattito sull’arte e la percezione, sottolineando l’importanza delle esperienze artistiche nel trasmettere significati, promuovere il benessere e facilitare l’autoespressione e la comunicazione. Nonostante il suo nome sia stato menzionato nel contesto della conferenza “Arte e Percezione” del 2010, non sono disponibili ulteriori informazioni sulle sue pubblicazioni o ricerche specifiche. Tuttavia, possiamo discutere in generale dei concetti che Preminger ha sollevato riguardo all’arte come mezzo per indurre esperienze. L’idea che l’arte possa agire come veicolo per trasmettere significati suggerisce che le opere d’arte possano comunicare idee, emozioni e concetti al di là delle parole o del linguaggio. In questo senso, l’arte può essere vista come un potente strumento di comunicazione non verbale.
Preminger sostiene anche che l’arte offre un senso di benessere. Le esperienze artistiche possono influenzare positivamente la salute mentale e il benessere emotivo delle persone, contribuendo a ridurre lo stress, stimolare la creatività e promuovere il pensiero critico. Inoltre, l’arte può agire come un modo per esprimere e comprendere meglio le proprie emozioni, facilitando così l’autoespressione e l’autocomprensione. Infine, Preminger mette in luce l’importanza dell’arte come mezzo di comunicazione tra individui. Attraverso l’arte, gli artisti possono condividere le loro visioni, esperienze e sentimenti con gli osservatori, creando un dialogo unico tra l’autore dell’opera e il pubblico. Questo processo di comunicazione può aiutare a creare connessioni umane più profonde, aumentare la comprensione reciproca e favorire la crescita personale e collettiva. Sebbene non si disponga di ulteriori informazioni specifiche sul pensiero di Son Preminger, queste idee generali sul ruolo dell’arte nelle esperienze umane sono centrali nella discussione su come l’arte e la percezione si influenzano a vicenda.
Le esperienze artistiche coinvolgono anche processi cognitivi più complessi, come le funzioni esecutive, la memoria e le emozioni. L’esperienza di un’opera d’arte può variare a seconda della forma d’arte, dell’opera stessa e dell’esperienza dell’osservatore. Ad esempio, le arti interattive coinvolgono funzioni motorie e di controllo comportamentale oltre all’esperienza mentale.
Alcune ricerche, come quelle di Vartanian e Skov (2014) e Chatterjee e Vartanian (2016), hanno dimostrato come la percezione dell’arte e dell’estetica sia influenzata da aspetti psicologici e neuropsicologici. L’obiettivo di questa interazione complessa, come suggerito da Freedberg e Gallese (2007), è sviluppare abilità critiche e autogestione didattica, migliorando la motivazione dell’utente.
Odisseas Vartanian e Vittorio Gallese sono due importanti ricercatori nel campo dell’estetica e delle neuroscienze che hanno contribuito significativamente alla comprensione del modo in cui percepiamo l’arte e gli oggetti estetici.
Qui di seguito sono riassunti alcuni dei loro principali contributi e pensieri:
Odisseas Vartanian: è un psicologo cognitivo che si è concentrato sulla ricerca dell’estetica empirica, esplorando le basi cognitive e neurali della percezione dell’arte e dell’estetica. Ha condotto numerosi studi sperimentali per indagare i meccanismi cognitivi e neurali coinvolti nella valutazione estetica e nella percezione delle opere d’arte. Vartanian ha anche studiato l’influenza delle variabili contestuali e individuali sulla percezione e la valutazione estetica.
Vittorio Gallese è un neuroscienziato italiano noto per le sue ricerche sui neuroni specchio e sul ruolo che essi svolgono nella comprensione delle azioni altrui, nell’empatia e nella percezione dell’arte. Gallese ha sviluppato l’idea che la percezione dell’arte e degli oggetti estetici sia profondamente radicata nelle nostre esperienze corporee e nelle interazioni con il mondo che ci circonda. Ha proposto che i neuroni specchio siano coinvolti nella comprensione delle intenzioni degli artisti e nella percezione delle emozioni e delle azioni rappresentate nelle opere d’arte.
Insieme, Vartanian e Gallese hanno collaborato in diverse ricerche e pubblicazioni, tra cui uno studio condotto nel 2014 intitolato “Neuroaesthetics: The Cognitive Neuroscience of Aesthetic Experience”. In questa ricerca, gli autori hanno esaminato le basi neurali della percezione estetica e dell’arte, sottolineando l’importanza delle interazioni tra processi cognitivi, emozionali e sensoriali nell’esperienza estetica.
Uno dei concetti chiave proposti da Gallese e collaboratori è l’idea della “simulazione incarnata” (embodied simulation), secondo cui percepiamo e comprendiamo le opere d’arte attraverso un processo di simulazione motoria e sensoriale basato sul nostro corpo e le nostre esperienze passate. In altre parole, quando osserviamo un’opera d’arte, il nostro cervello attiva automaticamente schemi motori e sensoriali che ci permettono di “rivivere” le emozioni, le azioni e le esperienze rappresentate nell’opera, facilitando così la nostra comprensione e apprezzamento dell’arte.
Attraverso le loro ricerche e idee, Vartanian e Gallese hanno contribuito a una visione più integrata e interdisciplinare della percezione dell’arte e dell’estetica, combinando approcci e metodi dalle scienze cognitive, dalle neuroscienze e dall’estetica filosofica. Questo lavoro ha contribuito a una maggiore comprensione del modo in cui la nostra mente e il nostro cervello elaborano e interpretano le opere d’arte e gli oggetti estetici, offrendo nuove prospettive sulla relazione tra arte, cognizione ed emozione.
Le ricerche di Vartanian e Gallese hanno anche sottolineato l’importanza delle variabili individuali e contestuali nella percezione e valutazione estetica. Ad esempio, fattori come le preferenze personali, l’esperienza artistica e la cultura possono influenzare il modo in cui percepiamo e apprezziamo l’arte. Allo stesso modo, il contesto in cui un’opera d’arte è presentata e le aspettative dell’osservatore possono avere un impatto significativo sull’esperienza estetica.
In sintesi, il lavoro di Odisseas Vartanian e Vittorio Gallese ha contribuito a una comprensione più profonda e sfaccettata del modo in cui percepiamo e valutiamo l’arte e gli oggetti estetici. Le loro ricerche hanno evidenziato l’importanza delle interazioni tra processi cognitivi, emozionali e sensoriali nell’esperienza estetica e hanno dimostrato come la percezione dell’arte sia radicata nelle nostre esperienze corporee e nelle interazioni con il mondo che ci circonda. Questo lavoro ha aperto nuove strade per ulteriori ricerche e discussioni nel campo dell’estetica e delle neuroscienze, nonché per la pratica artistica e la formazione.
La teoria della Embodied Cognition gioca un ruolo importante in questo contesto, suggerendo che il sistema motorio e percettivo influenzi la cognizione e potenzi le capacità cerebrali. Questa prospettiva evidenzia l’importanza del corpo nel modulare l’apprendimento e nell’aumentare l’attenzione e la motivazione.
In alcune situazioni, come quelle in cui l’osservatore ha una grande competenza artistica, l’interazione visiva con un’opera d’arte può causare una forte reazione emotiva, nota come Sindrome di Stendhal o “hyperkulturemia”. Sintomi simili possono essere causati da esperienze culturali estreme e significative, come la cosiddetta “Jerusalem syndrome” che si verifica in luoghi storici o religiosi.
La Jerusalem Syndrome è un fenomeno psicologico osservato tra alcuni visitatori della città di Gerusalemme. Questa sindrome si manifesta attraverso un insieme di sintomi psicologici e comportamentali, che possono includere intensi sentimenti di connessione spirituale, allucinazioni, delusioni messianiche o apocalittiche e comportamenti estremi legati alla religione.
Mentre la causa esatta della Jerusalem Syndrome non è stata ancora del tutto compresa, si ritiene che possa essere collegata a diversi fattori, tra cui la profonda importanza storica e religiosa di Gerusalemme per molte persone e l’intenso carico emotivo che può essere associato alla visita di luoghi sacri. In alcuni casi, la sindrome può essere scatenata da un sovraccarico di stimoli culturali e religiosi, che possono portare a uno stato di disorientamento o di confusione mentale.
La Jerusalem Syndrome può presentarsi in diversi modi, a seconda delle circostanze e delle credenze religiose del visitatore.
Alcuni dei sintomi più comuni includono:
- Un’intensa necessità di purificarsi, ad esempio attraverso il bagno rituale o la preghiera.
- L’identificazione con una figura religiosa o messianica, come Gesù, Mosè o un profeta biblico.
- Un desiderio di predicare e diffondere il proprio messaggio religioso agli altri.
- Comportamenti estremi, come il digiuno, l’auto-flagellazione o la marcia per le strade di Gerusalemme indossando abiti sacri.
È importante notare che la Jerusalem Syndrome può colpire persone con preesistenti problemi di salute mentale, ma può anche manifestarsi in individui senza alcuna storia di disturbi psicologici. In molti casi, i sintomi scompaiono spontaneamente una volta che il visitatore lascia la città.
La comprensione della Jerusalem Syndrome rimane un’area di interesse per gli studiosi e i professionisti della salute mentale, poiché offre una finestra unica sul modo in cui la religione, la cultura e il contesto ambientale possono influenzare la mente umana.
Qualche approfondimento sulla Sindrome di Gerusalemme
La sindrome di Gerusalemme è stata oggetto di studio e discussione in diverse pubblicazioni accademiche e libri nel corso degli anni. Di seguito, alcuni riferimenti significativi che potrebbero interessarti:
- Bar-El, Y., Durst, R., Katz, G., Zislin, J., Strauss, Z., & Knobler, H. Y. (2000). Jerusalem syndrome. The British Journal of Psychiatry, 176(1), 86-90. Questo studio fornisce una panoramica della sindrome di Gerusalemme, esaminando le caratteristiche cliniche, le tipologie e i possibili fattori scatenanti.
- Kalian, M., & Witztum, E. (2000). Comments on Jerusalem syndrome. The British Journal of Psychiatry, 176(5), 492-492. Questo breve articolo offre alcune riflessioni sulla sindrome di Gerusalemme e sulle implicazioni per la ricerca futura.
- Witztum, E., & Kalian, M. (2002). Jerusalem syndrome as reflected in the pilgrimage and biographies of four extraordinary women from the 14th century to the end of the 2nd millennium. Mental Health, Religion & Culture, 5(1), 1-16. Questo articolo esamina la sindrome di Gerusalemme attraverso le biografie di quattro donne che hanno intrapreso pellegrinaggi a Gerusalemme nel corso della storia.
- Kalian, M., & Witztum, E. (1999). The Jerusalem syndrome: The psychopathology of tourists in the Holy Land. In Tourism and culture: How tourists and natives interact (pp. 53-66). Routledge. Questo capitolo di libro esplora la sindrome di Gerusalemme nel contesto del turismo e delle interazioni tra turisti e residenti locali.
- Tannock, C., & Turner, T. (1995). Psychiatric tourism is overloading Jerusalem’s services. BMJ: British Medical Journal, 311(7019), 1588. Questo articolo discute l’impatto della sindrome di Gerusalemme sui servizi sanitari a Gerusalemme e sul turismo nella città.