Guidati dallo sviluppo delle nuove tecnologie e dal digitale verso una ECONOMIA della CONOSCENZA nella SOCIETA’ 4.0, giorno per giorno si fa sempre più forte l’esigenza di NUOVI MODELLI FORMATIVI per la creazione delle NUOVE SKILL PROFESSIONALI.Nel mio precedente post Società 4.0, riflettevo sulla drammatica transizione che stiamo vivendo (passando da una Società impostata su pensieri classici ed analogici ad una basata sulla Cultura Digitale) che vede grandi cambiamenti in atto.
Questa transizione, favorita dall’ingresso utilitaristico e metodologico delle tecnologie I.C.T. e digitali, ha determinato lo Sviluppo della Società dell’Informazione. Ciò ha già modificato (o sta modificando) radicalmente i processi produttivi e gli ambienti di lavoro contribuendo alla nascita di nuovi lavori e di nuove professioni, ma anche il conseguente superamento di paradigmi diventati oramai obsoleti: le Organizzazioni che impiegano modelli rigidamente verticali, dove i lavoratori sono stabilmente chiamati a svolgere mansioni predeterminate per una stessa impresa lungo tutta la loro vita lavorativa, probabilmente nei prossimi decenni non esisteranno più nella maggior parte dei comparti dell’economia.
La capacità di immaginare un futuro che si avvia verso una Economia (Globale) della Conoscenza rappresenta il fattore discriminante necessario ad elaborare adeguate politiche tese a mantenere concorrenziali non solo le imprese, ma la società, l’intera Nazione nella competizione globale. Sebbene anche nel nostro paese, le nuove teorie sui nuovi modelli
organizzativi d’impresa, stiano iniziando a passare dal solo ristretto dominio della ricerca accademica a quello della Cultura Aziendale, ciò non sembra sia così, almeno per quanto ancora osserviamo nei fatti, nella Cultura Politica ed Istituzionale. La marcata attitudine italiana a ‘resistere ai cambiamenti’ (a tutti i livelli) mancando di cogliere le opportunità offerte dai processi d’innovazione ha reso l’Italia dell’Europa Unita la nazione che meno riesce a crescere economicamente incrementando il suo PIL.
A mio avviso ciò non è dovuto, solo, alle note cause oggetto dell’attuale dibattito pubblico (come ad esempio la pressione fiscale, la burocrazia, etc etc), ma anche alla scarsa adeguata formazione culturale e professionale della forza lavoro italiana. Sono molteplici i casi che potremmo portare ad esempio.
In questa Economia della Conoscenza, si stanno formando nuove forme di imprese nate già internazionalizzate, delle “multinazionali tascabili” che hanno consentito alle manifatture tradizionali di organizzarsi flessibilmente in una strategia Glocale, cioè operando nella dimensione globale conservando e sviluppando nel territorio di origine le funzioni più intelligenti cui corrispondono professionalità non sempre immediatamente disponibili.
Aumenta l’autonomia del lavoratore nella realizzazione delle proprie mansioni e progressivamente si stemperano i rigidi vincoli di subordinazione gerarchica e funzionale. Poiché ogni organizzazione è un Sistema Sociale, per affrontare con successo i cambiamenti imposti occorre agire su tutti gli elementi che condizionano il funzionamento del Sistema: da un lato gli aspetti strutturali (ossia le variabili “hard” del sistema organizzativo), dall’altro gli aspetti comportamentali e culturali (ovvero le cosiddette variabili “soft”), soprattutto per quanto concerne le aziende high-tech. Dal punto di vista sociale, dunque, con i nuovi pensieri organizzativi per mezzo dei quali si fanno strada i nuovi modelli, l’aspetto che studia il lato dell’Individuo nelle sue relazioni con gli altri Individui, attraverso discipline come l’Antropologia Culturale applicata o altre discipline che afferiscono alle neuroscienze o la psicologia sociale, assumono un ruolo sempre più importante nel Change Management.
Un approccio costruttivista in grado di facilitare i processi comunicativi e cognitivi tra Individui non solo con Culture aziendali diverse, ma anche con Culture di base diverse (come ad esempio tra Individui che si sono formati e lavorano in nazioni diverse) che si trovano a lavorare in cooperazione tra di loro, risulta determinante, per fertilizzare le competenze. Dunque, anche lo studio delle relazioni interculturali (per l’adozione di adeguati strumenti per la comunicazione interculturale) diventa determinante non solo per disegnare nuovi servizi e nuovi prodotti coerenti con le domande (spesso latenti) di mercati diversi, ma anche per capire i significati dei differenti costrutti culturali, allo scopo di definire il miglior modo di veicolare nuove conoscenze presentandole in modo tale che persone con mentalità e orientamenti diversi possano effettivamente comprenderle. La rivoluzione digitale ha indotto la possibilità che Imprese possano operare in rete, offrendo l’opportunità a ciascun operatore di concentrarsi sulla propria attività principale ed approvvigionarsi da soggetti terzi localizzati in qualunque parte del mondo che si caratterizzano per essere in possesso di differente know-how, capitale immateriale (intellettuale), ed organizzativo. Per le piccole e medie imprese che costituiscono “il cuore del tessuto produttivo italiano” la Logica della Rete e il ricorso al knowledge transfer organizzativo, gestionale e produttivo, risultano sempre più decisivi allo scopo di sopravvivere nel medio e lungo periodo in un contesto economico e sociale in continua evoluzione e sempre più competitivo.
Per l’elaborazione di questi nuovi modelli formativi, in molti casi non è più sufficiente la sola impostazione teorico accademica, che appare ancora troppo imperante nel solco della tradizione universitaria italiana, seppur in molti casi indibbiamente eccellente, E’ diventata unanime quella coscienza collettiva di molti imprenditori italiani che esprimono il bisogno strategico di avere a disposizione nel mercato del lavoro personale formato anche il contributo di soggetti esperti, che siano in grado di trasferire nuove conoscenze, nuovi paradigmi organizzativi e produttivi acquisiti nel corso della loro vita lavorativa e professionale e nelle loro realtà esperienziali vissute nelle loro sfide al cambiamento.
E’ intanto c’è qualcuno che stima 100 milioni di nuovi posti di lavoro legati all’innovazione in Europa.